Cos’è stata la Rivoluzione Culturale? Un evento – che si fa partire dal 1966 e terminare con la morte di Mao, avvenuta dieci anni dopo – di sicuro in grado di scardinare ancora oggi ricordi, sofferenze e memorie dai toni molti diversi tra loro. Di sicuro è un omesso storico, un evento sul quale la Cina non ha proceduto ad un’elaborazione collettiva.

Troppo complesso da un lato, troppo vicini i fatti, dall’altro, con molte persone allora vittime o carnefici ancora in vita, per procedere ad una serena analisi. Va detto che in Cina se ne parla, anche in ambiti politici e accademici, ma di sicuro l’argomento non è sdoganato a livello popolare. Esistono molte contraddizioni al riguardo, cui hanno contribuito e non poco anche le storiografie occidentali, tra chi vede in quel periodo confusione e violenza, e chi ancora oggi riscontra invece una partenza «giusta», terminata in una sorta di guerra civile, dove si sono consumate molte violenze private che hanno finito per snaturare la natura dell’evento.
Nei giorni scorsi il Global Times, quotidiano governativo (è uno spin off in inglese del Quotidiano del Popolo organo ufficiale del Partito Comunista), ha affrontato l’argomento attraverso l’intervista ad un «pentito» della Rivoluzione Culturale. Stupisce il tempismo, proprio in concomitanza con le sempre più vicine celebrazioni dei 120 anni dalla nascita di Mao e con la nuova stretta ideologica di Xi Jinping, che ha fatto gridare al ritorno del maoismo.
«Maoismo» già associato agli eventi della Rivoluzione culturale, nell’ambito della parabola di Bo Xilai, considerato un fan della Rivoluzione culturale per alcune delle sue scelte politiche, specie con riferimento all’eliminazione di avversari politici (e a decisioni più folcloristiche come quelle relative alle canzoni rosse o alle gite in campagna degli studenti).
In generale si tratta di eventi che scardinano pentimenti e ricordi di violenze, confusione, incomprensioni: qualcosa che la Cina di oggi vuole assolutamente evitare. Il caso raccontato dal Global Times è quello di Chen Xiaolu «ancora perseguitato – scrive il quotidiano – dall’immagine della maestra Hua Jin che giaceva morta sul pavimento di cemento di una classe nella Scuola Media n°8 di Pechino, dove si è impiccata a causa della raffica di abusi da parte delle guardie rosse che lui ha guidato».
Chen ha chiesto scusa a tutti nella sua vecchia scuola, finendo per attirare molta attenzione e suscitando «accese discussioni tra il pubblico a causa della sua influenza come principino – il termine dato ai discendenti di spicco degli alti funzionari di partito. Chen è il più giovane figlio del generale dell’Esercito Popolare di Liberazione Chen Yi, un eroe nazionale».
«Io, ha detto Chen, come presidente dell’associazione degli ex allievi e capo del comitato rivoluzionario, mi assumo la responsabilità di aver provocato le umiliazioni, i pestaggi ed il bullismo ai danni degli insegnanti durante la Rivoluzione Culturale. Esprimo il nostro rimorso e le nostre scuse. Ognuno deve prendersi le proprie responsabilità per le malefatte di quel periodo».
Nell’ambito di un articolo fitto di memorie tragiche, il Global Times, ricorda però quale tipo di analisi abbia avuto nella recente storia cinese l’evento legato alla Rivoluzione Culturale: «le autorità cinesi tempo fa hanno ammesso, in termini generali, che la Rivoluzione Culturale è stato un disastro per la Cina. Tuttavia, non c’è stato più ulteriore auto-esame, salvo la riabilitazione dei nomi dei molti funzionari e della gente comune che sono stati ingiustamente danneggiati».
Dopo la comparsa della «letteratura della memoria», viene specificato, non ci sono stati altri momenti di riflessione. In particolare, specifica il Global Times, «non vi è stato un riesame ufficiale del ruolo del presidente Mao Zedong al di là della formulazione che Mao ha agito bene per il 70 per cento e male per il 30 per cento». La «formulazione» è di Deng Xiaoping, e a suo tempo fu una sonora batosta per la memoria del Grande Timoniere.
E se – in occasione delle celebrazioni del centoventesimo anniversario della sua nascita – si procedesse ad una riabilitazione totale proprio di lui, di Mao?
Cos’è stata la Rivoluzione Culturale? Un evento – che si fa partire dal 1966 e terminare con la morte di Mao, avvenuta dieci anni dopo – di sicuro in grado di scardinare ancora oggi ricordi, sofferenze e memorie dai toni molti diversi tra loro. Di sicuro è un omesso storico, un evento sul quale la Cina non ha proceduto ad un’elaborazione collettiva.