La politica, l’ansia del tempo che passa e la mania di dover lasciare ad ogni costo un retaggio, un segno tangibile della propria presenza per le generazioni che verranno. In India ce la si sbriga son le statue, pagate dai contribuenti, e il caudillo gujarati Narendra Modi non fa eccezione.

Il 31 ottobre Modi, assieme all’ex nemico LK Advani, ha posato la prima pietra di quella che, si dice non prima di dieci anni, sarà la statua più alta del mondo. 182 metri di pietra e bronzo, secondo le previsioni magniloquenti di NaMo che, durante l’evento, ha ammonito: “Il mondo sarà costretto a volgere lo sguardo verso l’India, una volta che la statua sarà eretta”.
L’opera, che sarà chiamata Statue of Unity, sorgerà nel Gujarat governato attualmente da Narendra Modi e raffigurerà Sardar Patel, il primo ministro degli Interni dell’India indipendente. Gujarati, Patel è passato alla storia come membro del triumvirato dell’Indian National Congress che guidò l’India all’indipendenza dall’impero britannico, formato dall’affabile – a livello internazionale – Nehru, dal carisma del Mahatma Gandhi e da Patel, soprannominato l’Iron Man of India per la sua risolutezza ed abilità nel mediare tra le parti, una sorta di Bismarck indiano.
Patel, molto vicino a Gandhi, morì nel 1950 e nonostante sia a tutti gli effetti un personaggio storico nel pantheon dell’Indian Nationa Congress, oggi è opinione diffusa che sia stato colpevolmente dimenticato: a differenza della dinastia Nehru-Gandhi e altri eroi dell’indipendenza come Netaji o, a suo modo, Tagore, la memoria di Patel non è stata tramandata a dovere di generazione in generazione. Un patrimonio del Congress che oggi viene abbracciato dai nazionalisti del Bjp, sottolineando una comunione di intenti e metodi tra Patel e Modi.
La questione ha fatto andare su tutte le furie i dignitari del Congress di oggi, improvvisamente scopertisi più pateliani di Patel, inchiodando il furbo Modi alla realtà storica dei fatti: Patel, seppur risoluto, non tenne mai comportamenti così divisivi come, ad esempio, l’inazione durante i famosi pogrom del 2002 sotto l’amministrazione Modi in Gujarat.
A questo proposito, Rajmohan Gandhi, nipote del Mahatma e biografo di Patel, ha dichiarato:
Se Modi crescesse all’ombra di quel’immagine sarebbe fantastico, ma ci sono almeno due ragioni per dubitarlo. Patel si formò sotto l’ombrello di Gandhi e del Congress; Modi ha fatto carriera sotto quello, molto diverso, della Rss [organizzazione paramilitare estremista hindu]. Inoltre, Patel è sempre stato un uomo di squadra, unendo i propri sforzi a quelli di altre personalità eccellenti dell’epoca. Se Modi sia o non sia un personaggio del genere…mi piacerebbe lo fosse.
La statua di Patel, che sarà alta il doppio della Statua della Libertà, ha tutte le carte in regola per inserirsi nell’elenco di giochini propagandistici di cui Modi è maestro. Costerà, secondo le previsioni, 340 milioni di dollari. Tutti soldi pubblici, chiaramente.
La mania delle statue non è prerogativa del riformatore gujarati. Durante il suo mandato a capo dell’Uttar Pradesh, l’eroina dei dalit Mayawati fece costruire in tutto lo stato decine di statue raffiguranti elefanti, eroi del movimento dalit come Ambedkar e divinità hindu. La spesa, allora, si aggirava attorno ai 300 milioni di euro.
Il prezzo modesto dell’immortalità.
La politica, l’ansia del tempo che passa e la mania di dover lasciare ad ogni costo un retaggio, un segno tangibile della propria presenza per le generazioni che verranno. In India ce la si sbriga son le statue, pagate dai contribuenti, e il caudillo gujarati Narendra Modi non fa eccezione.