In questi giorni in India stanno facendo notizia i continui sfondoni storici di Narendra Modi, che durante i propri comizi si esibisce sistematicamente in sparate senza arte né parte sulla storia – antica o recente – del paese. Un vezzo tipico, dalle parti del Bjp.

Sarà la stanchezza, sarà la complessità di sublimare una storia millenaria come quella indiana in poche frasi efficaci, buone per infiammare le folle oceaniche, ma ultimamente i discorsi del candidato primo ministro Narendra Modi si lasciano andare a rivisitazioni talvolta imbarazzanti della storia indiana.
Le gaffe si dividono in due categorie da tenere separate: le sviste (innocenti) e le invenzioni di sana pianta a fini elettorali.
La prima categoria si è impreziosita oggi della perla pronunciata durante un discorso in Rajasthan, quando Modi in un passaggio si è riferito al Mahatma Gandhi chiamandolo col suo nome “pre-santità”: Mohanlal Karamchand Gandhi.
Peccato che Gandhi di nome facesse Mohandas e confondersi davanti alla folla potrebbe essere parificabile, mischiando il sacro col profano, a un coro della curva sud inneggiante a Fernando Totti. Ma sono piccolezze, errori comprensibili considerando il tour de force che NaMo sta portando avanti ormai da mesi presidiando palmo a palmo tutto il subcontinente in una campagna elettorale dove ancora non si è capito contro chi correrà (probabile Rahul Gandhi, ma quando hanno intenzione di dircelo?).
L’ilarità diffusa generata negli oppositori politici, che consigliano a Modi – orgoglioso ex venditore di chai, genesi perfetta per la retorica del self-made man indiano – di riprendere in mano i libri di storia delle elementari, non è replicabile di fronte ad altre mistificazioni create ad arte per solleticare gli istinti revanscisti dei suoi elettori tipo: nazionalisti anti-Congress, anti-musulmani – con varie sfumature di estremismo – attratti dal mito della rinascita indiana trainata dalla middle class senza dimenticare la tradizione hindu.
In un compendio del Modi-pensiero pubblicato dal magazine Outlook India emergono alcune chicche degne di approfondimento come, ad esempio, la teoria secondo cui “l’India è stata schiava di qualcun’altro per 1000-1200 anni”. Una sparata che, dati alla mano, è irragionevole anche solo come definizione di India unitaria prima dell’esperienza coloniale inglese.
Oppure il fatto che la comunità Valmiki – dalit devoti al mitico autore del poema epico Ramayana – fosse impiegata nel manual scavenging (ovvero rimuovere a mano gli escrementi, mansione riservata ai fuoricasta, impuri per definizione secondo l’impostazione piramidale della divisione in caste) per approfondire la propria “esperienza spirituale”. O ancora la sparata della valuta nazionale, la rupia, che il giorno dell’Indipendenza si cambiava 1:1 col dollaro americano (in realtà valeva 30 centesimi).
Siamo davanti a una serie di storture che, ripetute con ostinazione, per chi ascolta diventano assunti storici che plasmano, per dissonanza, l’India che è con quella che dovrebbe essere – e sarà – sotto la reggenza di Modi: niente più sensi di inferiorità, una moneta nazionale forte e dalit convinti finalmente a lasciar perdere quelle mansioni degradanti nonostante la propria – e unica – smania di ricerca spirituale condotta rimestando nella merda.
Il revisionismo storico è un’arma che il Bjp e l’estremismo hindu ha raffinato col tempo. Basti pensare al caso del tempio di Ram ad Ayodhya, una follia tirata fuori dal cappello negli anni Ottanta che ha causato – e ancora causa – migliaia di morti.
E anche quando sbugiardati dall’evidenza, i teorici di questo induismo mitologico non riescono a fare ammenda. Negare, negare sempre.
Un esempio illuminante viene riportato sempre su Outlook India. Tracciando gli albori della civiltà hindu, nel 1939 M.S. Golwalkar – supremo dell’organizzazione paramilitare hindu Rss – sosteneva che gli Arii fossero gli abitanti originari del territorio che ora conosciamo come India; che fossero autoctoni e che quindi tutto ciò che crearono – dal sistema delle caste al sanscrito – fossero tradizioni col pedegree, di origine controllata e garantita 100% indiana.
A chi gli fece notare che un altro eminente studioso indiano, Bal Gangadhar Tilak, quarant’anni prima provò che gli Arii venivano da altrove, precisamente erano una popolazione nativa del Polo Nord, Golwalkar non potendo contraddire la tesi di un’autorevole intellettuale dell’epoca utilizzò la collaudata tecnica del “ma non ci siamo capiti, stiamo dicendo la stessa cosa!”.
Sostenendo che Tilak aveva ragione, gli Arii venivano dal Polo Nord. Peccato che all’epoca, secondo Golwalkar, il Polo faceva parte dell’India, precisamente situato da qualche parte tra Orissa e Bihar.
E tout se tient!
In questi giorni in India stanno facendo notizia i continui sfondoni storici di Narendra Modi, che durante i propri comizi si esibisce sistematicamente in sparate senza arte né parte sulla storia – antica o recente – del paese. Un vezzo tipico, dalle parti del Bjp.