Non si placa la mediatizzazione del terrore in corso dopo la diffusione dei video delle decapitazioni dei giornalisti e cooperanti statunitensi e inglesi, James Foley, Steven Sotloff e David Haines in Iraq (costretti ad indossare le vesti arancioni dei prigionieri di Guantanamo), per mano dei jihadisti dello Stato islamico (Isis).

La decapitazione dell’ostaggio è sempre preceduta dalle sue parole contro il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, i paesi che hanno sostenuto la guerra di George Bush jr. in Iraq nel 2003 e i recenti bombardamenti Usa contro l’Isis. La strategia mediatica del gruppo terroristico ha incluso la strumentalizzazione delle tecniche giornalistiche, come è avvenuto con l’ultimo video del giornalista John Cantlie, in cui lo stesso ostaggio stigmatizza ancora una volta la strategia degli Stati Uniti nella regione. Simili tecniche sono state sfruttate anche dai jihadisti egiziani. Un lungo filmato su Youtube dell’uccisione violenta di quattro uomini nel Sinai è stata diffusa alla fine di agosto. Secondo i jihadisti del gruppo Ansar Beit al-Meqdisi (Abm), le vittime sarebbero state «spie del Mossad». Nel video, come per Foley, si vedono gli aguzzini incappucciati tagliare le teste degli ostaggi.
Il video dell’uccisione di Foley
Dall’analisi dei video dell’Isis è emerso che a combattersi in Iraq e Siria ci sono ora sempre più islamisti radicali europei, convertiti o immigrati di seconda generazione. Dall’accento britannico di East London dell’aguzzino vestito di nero e incappucciato di James Foley e degli altri ostaggi si è evinto chiaramente che i jihadisti dello Stato islamico (Isis) non sono solo estremisti arabi combattenti, con loro ci sono migliaia di cittadini europei e statunitensi. I jihadisti europei sarebbero tra i più motivati tra i componenti dell’Isis. Secondo l’intelligence britannica, sarebbero oltre 500 i cittadini inglesi partiti per la Siria per combattere a fianco dei jihadisti contro Bashar al-Assad. I neofiti europei dell’Islam, conquistati dal jihad e passati con l’Isis, sono oltre 3 mila, secondo The Economist.
Con questi omicidi e la loro riproduzione video, (la autenticità di questi video non è stata confermata dagli inquirenti, secondo loro gli ostaggi sarebbero stati sgozzati a telecamere spente), l’Isis ha dimostrato di saper maneggiare a suo piacimento l’informazione mainstream occidentale. E così riferendosi a video falsi, montati ad arte o veritieri, il gruppo può incutere terrore anche senza combattere. Per questo, i giornalisti uccisi sono vittime sacrificali perfette.
Un infallibile uso dei social network
Lo Stato islamico (Isis) ha già ottenuto successi in Iraq e Siria fabbricando storie orribili di violenza efferata. Ogni gruppo locale della galassia dell’Isis ha il suo moderatore e il suo account Twitter, Facebook e YouTube. Per esempio l’Isis a Niniveh pubblica le notizie rilevanti dell’area oltre ad immagini di propaganda della quotidiana riscossione delle imposte, ecc. Insieme agli account dell’Isis, ci sono centinaia di account privati, seguiti da migliaia di utenti. Servono a diffondere la propaganda dell’organizzazione sia per intimorire i nemici sia per reclutare nuovi seguaci. Queste produzioni sono racchiuse sotto l’ombrello Al-Furqan Media che regolarmente posta audio, video e documentari dal titolo «Messaggi dalla terra delle battaglie epiche». Il gruppo Al-Furqan lavora anche a trasposizioni video dando l’opportunità agli utenti di vedere e leggere tutte le produzioni audio e video del gruppo radicale.
Per creare l’immagine fittizia che l’Isis si trovi dovunque, lo scorso agosto, una foto di una bandiera dello Stato islamico che sventolava sulla Casa Bianca è diventata virale su Twitter con l’hashtag #AmessagefromISIStoUS. Pochi giorni dopo la morte di Foley, un video su YouTube dal titolo «Un messaggio al popolo americano» della Al-Miqdam Productions mostrava foto di bare coperte dalla bandiera a stelle e strisce con una didascalia che diceva: «Questo è ciò che accade dovunque voi siate, se ci bombardate». YouTube ha subito dopo rimosso il video perché violava le sue politiche contro le immagini violente.
Lo stesso «califfo» dell’Isis al-Baghdadi ha fatto la sua comparsa con una foto su Twitter prima che un suo sermone venisse diffuso su YouTube. Questo ha confermato di nuovo la strategia sofisticata di comunicazione che usa l’Isis e la sua estrema dipendenza da queste tecniche per convogliare i suoi messaggi e lanciare la sua propaganda. Questo significa che, usando le stesse strategie di un movimento la cui forza è stata in molti casi sopravvalutata, con un controllo preciso sulle sue attività mediatiche, l’Isis potrebbe essere sconfitto e messo in un angolo ancor più efficacemente che con le bombe. Eppure i media di tutto il mondo sembrano andare nella direzione opposta continuando a mostrare i video della propaganda dei jihadisti.
Non si placa la mediatizzazione del terrore in corso dopo la diffusione dei video delle decapitazioni dei giornalisti e cooperanti statunitensi e inglesi, James Foley, Steven Sotloff e David Haines in Iraq (costretti ad indossare le vesti arancioni dei prigionieri di Guantanamo), per mano dei jihadisti dello Stato islamico (Isis).