Negli ultimi tempi Xi Jinping, oltre alla campagna anti corruzione, sembra aver concentrato le proprie attenzioni anche sul mondo dei media, delle università e della cultura in generale, alla ricerca di una sorta di unità ideologica su cui puntellare la propria leadership.
Come spesso accade in Cina, questi processi avvengono attraverso arresti e intimidazioni, a sottolineare la priorità che viene affidata dalla leadership alla necessità di silenziare il dissenso. Si tratta di processi piuttosto tipici in Cina e che riguardano la necessità da parte del numero uno di creare un ambito attorno a sé nel quale sentirsi sicuro. Non a caso lo stesso Xi Jinping alcuni giorni fa ha tuonato contro le «fazioni» all’interno del Partito, per sottolineare la necessità di un Partito unito sotto la sua leadership.
Tra le «vittime» di questa attenzione di Xi all’unità ideologica, un professore universitario, considerato un «attivista». Secondo quanto scritto dal Global Times, «Un post su Sina Weibo della moglie di Guo Yushan, avrebbe rivelato che i pubblici ministeri di Pechino avrebbero arrestato Guo sabato e sarebbe detenuto presso il Beijing No.1 Detention Center». Il messaggio è stato rapidamente eliminato, secondo l’articolo del Global Times, spin off dell’ufficiale Quotidiano del Popolo.

La biografia di Guo si trova tra i media cinesi, perché si tratta di un personaggio attivo da anni nella società cinese: è il fondatore del «Transition Institute», un think-tank con sede a Pechino che conduce ricerche su tematiche sociali. Il think-tank è stato chiuso nel luglio 2013, «in quanto operava come organizzazione sociale non registrata», secondo quanto ha riferito il quotidiano Nandu di Guangzhou. «Guo, ha scritto il Global Times, insieme a molti altri studiosi di legge, tra cui Xu Zhiyong e Teng Biao, avrebbe fornito assistenza legale alle famiglie quando scoppiò lo scandalo del latte alla melamina nel 2008. Hanno anche contribuito a raccogliere fondi per le famiglie».
E sul versante dei media, l’aria che tira non è migliore. Il 30 dicembre scorso, infatti, è stato condannato ad un anno di prigione (per «attività economiche illegali») un regista colpevole di aver realizzato un documentario sulla costituzione cinese (al centro di un feroce dibattito intellettuale e politico). lI regista, Shen Yongping, era stato arrestato lo scorso aprile e formalmente arrestato il 4 giugno, non a caso il 25° anniversario della repressione militare degli studenti che protestavano sulla Tiananmen nel 1989.
Molti altri intellettuali, attivisti e dissidenti vennero arrestati – e sono tradizionalmente arrestati – in quella data, ma solitamente vengono rilasciati. Shen Yongping, invece, è stato condannato. Come riportato da Sinosphere, il blog sulla Cina del New York Times, in una intervista telefonica, il suo avvocato, Zhang Xuezhong, ha definito il verdetto «senza alcun senso», dato che il regista aveva realizzato il suo documentario, intitolato «Cent’anni di costituzionalismo in Cina», senza alcun scopo di lucro, dato che aveva deciso di rilasciarlo gratuitamente on line, o attraverso dvd finanziati dalle persone che avevano contribuito alla realizzazione del documentario. Shen è stato arrestato in un centro di detenzione, nel quartiere Chaoyang di Pechino, e Zhang ha detto che dovrebbe essere destinato a rimanere lì. Secondo l’avvocato, nonostante la condanna ad un anno, il regista potrebbe cavarsela con soli quattro mesi di detenzione effettiva.
Negli ultimi tempi Xi Jinping, oltre alla campagna anti corruzione, sembra aver concentrato le proprie attenzioni anche sul mondo dei media, delle università e della cultura in generale, alla ricerca di una sorta di unità ideologica su cui puntellare la propria leadership.