Il Paese sembra sospeso in un limbo, ancora in attesa di una vera tregua con la Russia e delle grandi promesse di Petro Porošenko.
Tante parole e pochi fatti, si potrebbe descrivere così la tragedia in corso ormai da tempo a Kiev. A più di due anni dalla ‘Rivoluzione della dignità’ e a quindici mesi dagli accordi di Minsk II, firmati da Ucraina, Russia, Germania e Francia, è ancora tutto da stabilire: il futuro dell’Ucraina orientale, ma anche quello delle sanzioni economiche contro la Russia. Il destino del secondo Stato più esteso d’Europa, con un potenziale economico mostruoso e una popolazione di 45 milioni di persone, gioca anche un ruolo spesso sottovalutato nella politica interna della Germania, del Regno Unito, della Polonia e dei Paesi baltici. Mentre la Polonia, che ospita circa un milione di profughi ucraini, e gli Stati baltici si sentono minacciati dalla vicina Russia e invocano la linea dura contro Mosca, richieste opposte arrivano dagli imprenditori tedeschi, britannici e austriaci, che vorrebbero tornare a rifornire i mercati russi di prodotti industriali e agricoli.
Il 31 luglio prossimo scadono le sanzioni imposte alla Russia per l’annessione della Crimea e il ruolo giocato dal Paese all’interno del conflitto in Ucraina orientale. Il prossimo vertice dell’Unione Europea dovrà produrre una nuova decisione. Il tema delle sanzioni divide non solo l’Unione Europea, ma anche il panorama politico di Paesi quali Regno Unito e Germania. In vista del referendum sull’Unione Europea (Brexit), Boris Johnson, ex sindaco di Londra e rivale segreto del Premier Donald Cameron, rimprovera all’Unione Europea di aver provocato sia l’annessione della Crimea che la guerra conducendo una politica di avvicinamento e incoraggiando l’Ucraina ad aderire all’Unione. Benché la comunità internazionale e la maggior parte dei politici britannici abbiano respinto tali dichiarazioni, gli eurofobici dei tabloid le hanno prepotentemente amplificate. In Germania invece le sanzioni sono impopolari non solo tra coloro che esportano sui mercati dell’Est, ma anche all’interno della base del Partito Socialdemocratico. Pertanto il Ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier cerca da tempo di mediare tra posizioni divergenti, anche se finora non ha riscosso molto successo.
Il Paese sembra sospeso in un limbo, ancora in attesa di una vera tregua con la Russia e delle grandi promesse di Petro Porošenko.
Tante parole e pochi fatti, si potrebbe descrivere così la tragedia in corso ormai da tempo a Kiev. A più di due anni dalla ‘Rivoluzione della dignità’ e a quindici mesi dagli accordi di Minsk II, firmati da Ucraina, Russia, Germania e Francia, è ancora tutto da stabilire: il futuro dell’Ucraina orientale, ma anche quello delle sanzioni economiche contro la Russia. Il destino del secondo Stato più esteso d’Europa, con un potenziale economico mostruoso e una popolazione di 45 milioni di persone, gioca anche un ruolo spesso sottovalutato nella politica interna della Germania, del Regno Unito, della Polonia e dei Paesi baltici. Mentre la Polonia, che ospita circa un milione di profughi ucraini, e gli Stati baltici si sentono minacciati dalla vicina Russia e invocano la linea dura contro Mosca, richieste opposte arrivano dagli imprenditori tedeschi, britannici e austriaci, che vorrebbero tornare a rifornire i mercati russi di prodotti industriali e agricoli.
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