Avenue Bourguiba brulica di vita e di colori sin dalle prime luci del giorno. I giovani seduti ai bar a chiacchierare e a bere caffè dal mattino presto suggeriscono che il dato sulla disoccupazione giovanile: 350 mila senza lavoro, secondo le stime della Banca Mondiale, sembra non sia esagerato.

“Non ho problemi di lavoro per fortuna, ma ho tre figli ventenni ancora da mantenere” racconta il tassista, Mohammed, durante il tragitto tra l’aeroporto e il centro della città. Lui nelle elezioni di domenica 26 Ottobre affiderà la speranza di una Tunisia moderna a Nidaa Tounes, il partito centrista laico fondato dall’ex Primo Ministro Beji Caid el Sebsi, che oggi è tra i favoriti alla Presidenza.
Che le elezioni siano imminenti lo si respira nell’aria. Lo si sente nella voce dei megafoni che sull’avenue Bourguiba scandiscono i nomi dei candidati e i relativi programmi ridotti a slogan; lo si vede sui muri nelle periferie, tappezzati di fotografie; lo si osserva anche nelle misure adottate contro possibili atti di terrorismo: la polizia è a ogni angolo di strada, mentre l’ambasciata francese è inavvicinabile, blindata da sacchetti di sabbia e cordoni di filo spinato.
“In questi tre anni c’è stato qualche problema di sicurezza” racconta l’attivista Lina Ben Mhenni sorseggiando caffè in un bar, mentre la guardia del corpo la tiene d’occhio con discrezione. Ma non riesce a nascondere il pessimismo: “Sento troppe persone rimpiangere Ben Ali e i futuri candidati alle politiche come alle presidenziali non mi convincono.La corruzione dilaga, hanno usato persino i nomi di persone morte per completare le liste”.
Per strada si percepisce la frustrazione di una rivoluzione che non ha dato i frutti sperati, soprattutto in tema di diritti e di economia, e l’irrequietezza di chi brama una seconda ribellione per portare a compimento la prima. Il traffico che incalza con l’avanzare del giorno dà l’idea di una città che tra mille difficoltà continua a correre per non fermarsi.
Persino la Banca Mondiale ha dedicato un rapporto al paese intitolandolo “La rivoluzione incompiuta”, dove auspica una serie di provvedimenti che tengano lontano la Tunisia da logiche claniche per aprirsi all’economia di mercato.
“La rivoluzione tunisina è nata come un movimento spontaneo, si sta evolvendo gradatamente, ed è stata la prima occasione per il mondo arabo di parlare apertamente di individui e libertà “, spiega con ottimismo il giornalista di La Presse Soufiane Ben Farhat durante una chiacchierata nel salone di casa sua. Per Ben Farhat c’è un elemento che distingue i tunisini dagli altri musulmani e li compatterà nel combattere i rischi del jihadismo e della fuga disperata verso Lampedusa, ed è l’antropologia, intesa come necessità di vivere insieme e di vivere uniti. Ed è più forte di qualsiasi altra ideologia.
Intellettuali, artisti e gente comune concordano sul fatto che la Tunisia moderna, quella “rinata” dopo il 14 gennaio 2011, ha conquistato la preziosa libertà di espressione ma ha perso tutto il resto: la vita è diventata più cara, i diritti esistono sulla carta più che nella realtà, riforme serie non sono state ancora fatte. Prima di tutto quella sulla giustizia, sospira l’avvocato Radhia Nasraoui, presidente dell’organizzazione tunisina contro la tortura e moglie di Hamma Hammami, leader del Fronte Popolare, durante la consueta manifestazione del mercoledì dinanzi al ministero dell’Interno per chiedere giustizia sugli omicidi, ancora senza responsabili, di Chokri Belaïd e di Mohamed Brahmi. Su cosa serva alla Tunisia la Nasraoui non ha dubbi: ” Un potere laico – democratico “. E conclude: ” Lo scontro sarà tra Ennahda e Nidaa Tounes, ma alla fine prevarrà un governo di unità nazionale “.
Avenue Bourguiba brulica di vita e di colori sin dalle prime luci del giorno. I giovani seduti ai bar a chiacchierare e a bere caffè dal mattino presto suggeriscono che il dato sulla disoccupazione giovanile: 350 mila senza lavoro, secondo le stime della Banca Mondiale, sembra non sia esagerato.