
Il tribunale della cittadina russa di Donetsk l’ha da poco condannata a 22 anni di carcere, ma il testimone chiave che fa cadere ogni accusa non è stato mai sentito. Ora, per la prima volta, ha raccontato come sono andate le cose.
Il suo nome di battaglia è Ilim. A Ilya Azar, il giornalista di Meduza ha detto solo questo. Ma basta una veloce ricerca sul database del programma Mitrovorets dell’Sbu che scheda oltre 8mila combattenti separatisti, per scoprire che si tratta di Andrej Tikhonov, vicecomandante di reggimento delle forze separatiste di Luhansk, di anni 50 e nato a Kharkov.
Andrej “Ilim” Tikhonov ha combattuto nella battaglia di Stukalova Balka, vicino Luhansk, il 17 giugno 2014, quando Nadiya Savchenko fu catturata dalle milizie separatiste. Nella lunga intervista racconta come sono andate le cose.
All’incrocio tra Stukalova Balka e Metalist c’è la posizione della Lnr, dove sono stati colpiti i due giornalisti Igor Kornelyuk e Anton Voloshin della tv Vgtrk, per la cui morte Nadiya è stata condannata. L’esercito ucraino sferra un attacco alla posizione dei separatisti con un carro armato e due Btr, ma le postazioni anticarro riescono a respingerli. Dopo pochi minuti, un secondo attacco, anche questo fermato con Rpg. Tikhonov e i suoi fanno prigionieri tra gli ucraini, si impossessano dei loro mezzi blindati e li allineano sulla strada. «È a questo punto che una Ford Fiesta blu si è avvicinata alla nostra posizione. Si è fermata a circa cento metri da noi e ne è uscita una persona in divisa. Ci siamo avvicinati, a bordo c’erano altri tra uomini. Avevano visto i blindati sulla strada e pensavano avessero vinto gli ucraini. Allora ci siamo accorti che la persona in divisa era una donna. Le ho chiesto come si chiamasse e lei non ha risposto. Allora l’ho colpita alla testa con il calcio della pistola. Allora lei ha risposto “Nadiya”».
Quando il giornalista gli ha chiesto perché non l’ha uccisa sul posto, Tikhonov è stato chiaro. «Non uccido i prigionieri. Ma l’avrei uccisa se avessi immaginato che ne avrebbero fatto un’eroina e l’avrebbero pure eletta in parlamento. Col senno di poi le cose sono sempre più nitide».
Il racconto che scagiona Nadiya Savchenko
I tempi sono importanti, e Tikhonov ha buona memoria. «La battaglia è cominciata intorno alle otto del mattino, e per mezzogiorno avevo già consegnato personalmente Savchenko al ministro della Difesa della Lnr, Igor Plotnitsky. Tutto è successo in meno di quattro ore, questo posso garantirlo».
Secondo la ricostruzione di Tikhonov i giornalisti russi sono arrivati sul posto quando Nadiya era già stata portata via. «Verso mezzogiorno alcuni civili di Metalist hanno cominciato a lasciare le case mostrando bandiere bianche, per paura dell’artiglieria. Alcuni dei nostri sono andati ad aiutarli e i giornalisti erano con loro. È stato in quel momento che un mortaio li ha colpiti. È successo circa un’ora dopo che l’avevamo catturata».
L’accusa del tribunale russo che ha condannato la militare ucraina dice invece che è stata lei, appostata su una torre, a segnalare all’artiglieria le coordinate da colpire. Il racconto di un testimone diretto, però, contraddice l’accusa.
Anche su questo Tikhonov ha le idee chiare. «Ascolta, dire che lei ha coordinato l’attacco ai giornalisti è propaganda. Chi manda sei cecchini per fare un attacco contro due giornalisti? Non è stata Nadiya puntare il tiro, ma che differenza fa?»
La versione di Mosca
Nadiya Savchenko è stata catturata la scorsa estate dai miliziani separatisti nell’est dell’Ucraina e imprigionata a Lugansk. Di lei non si è saputo più nulla finché non è riemersa sul banco degli imputati del tribunale di Voronezh, in Russia. Lì è stata accusata di immigrazione clandestina e omicidio. Secondo il Comitato investigativo russo, una specie di superprocura alle dirette dipendenze del Cremlino, Nadiya – una militare professionista dell’esercito ucraino, secondo pilota di elicotteri anticarro – sarebbe scappata dai suoi stessi commilitoni e avrebbe cercato rifugio in Russia. Lì sarebbe stata arrestata casualmente perché trovata senza documenti a un controllo. Solo in un secondo tempo, la polizia russa si sarebbe accorta di avere tra le mani un militare di Kiev. Così, l’accusa di immigrazione clandestina si è trasformata in quella di omicidio di Igor Kornelyuk e Anton Voloshin.
Da allora, Nadiya, non ha mai smesso di combattere la propria battaglia per la libertà.
@daniloeliatweet
Il tribunale della cittadina russa di Donetsk l’ha da poco condannata a 22 anni di carcere, ma il testimone chiave che fa cadere ogni accusa non è stato mai sentito. Ora, per la prima volta, ha raccontato come sono andate le cose.