Ora le truppe lealiste siriane bombardano la popolazione con vecchi scaldabagni imbottiti d’esplosivo e bulloni.
Sono i primi giorni di febbraio 2014, le cronache raccontano una pioggia di bombe su Aleppo, in Siria. Le chiamano bombe-barile. In cinque giorni avrebbero ucciso 246 persone secondo i numeri diffusi dall’Osservatorio siriano per i diritti umani.
Sono contenitori cilindrici imbottiti di carburante, esplosivo, schegge metalliche, un po’ quello che capita. A sganciarle sono le forze leali al regime di Bashar al-Assad. Dagli elicotteri cadono sui quartieri ribelli. Nulla di sofisticato: sono semplicemente dei bidoni – anche vecchi scaldabagni – che vengono spinti fuori dagli sportelli dei velivoli.
In una guerra sul campo, che è anche una proxy war che vede coinvolti a distanza Iran e Arabia Saudita, le bombe-barile sono l’ultimo segnale di violenza che ha scatenato un disastro umanitario di quella che è sempre più una guerra tra poveri, dove i soldi e le scorte logistiche cominciano a mancare per tutti.
I bidoni esplosivi sono armi non convenzionali, usate da un esercito una volta bene equipaggiato come quello siriano. Per brutalità di fattura e d’impiego, sarebbero la dimostrazione, “che il regime di Assad è interessato a non fare altro che uccidere, con qualcosa che sia sufficiente a non fargli perdere la guerra, ma forse non abbastanza per fargliela vincere”, sostiene Max Fisher dalle colonne del Washington Post. Quella in Siria, infatti, è una guerra che nessuno sa vincere, ma che nessuno vuole perdere.
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Ora le truppe lealiste siriane bombardano la popolazione con vecchi scaldabagni imbottiti d’esplosivo e bulloni.