Se vuole, Recep Tayyip Erdoğan potrà essere il primo Presidente del Paese a elezione diretta.

Il 10 agosto, per la prima volta nella sua storia repubblicana, la Turchia si recherà alle urne per eleggere il proprio Presidente.
Sull’onda del voto per le amministrative del 20 marzo e con le elezioni politiche di giugno 2015, questa consultazione elettorale potrebbe cambiare la natura del sistema politico turco.
Il favorito per la presidenza è il Primo ministro Tayyip Erdoğan. Ha dichiarato che preferisce un sistema presidenziale senza lacci, convinto che possa dotare il Paese di un esecutivo più efficace ed efficiente. Il ruolo presidenziale desiderato da Erdoğan dovrebbe essere svincolato da controlli e contrappesi, con il potere marcatamente centralizzato.
Ma anche con il sistema in uso, Erdoğan – che a oggi non ha ancora presentato la propria candidatura – ha detto che sarebbe un presidente fattivo ed esecutivo e non di sola rappresentanza. Dato l’accumulo e la concentrazione di poteri senza precedenti nelle mani del Primo ministro, molti Turchi sono preoccupati che l’avvento di un sistema presidenzialista possa portare a una forma di autoritarismo.
Finora i piani di Erdoğan per trasformare il sistema parlamentare turco sono stati sventati in primo luogo dalla commissione parlamentare incaricata di redigere la nuova costituzione e poi dal movimento nato durante le proteste di Gezi Park dell’anno scorso.
Il Primo ministro reagì alla sfida di Gezi con rabbia, negando legittimità a una protesta delle classi urbane, per lo più giovanili e istruite – a cui si sono poi uniti altri settori della popolazione. Sebbene la protesta sia nata come reazione alla brutalità della polizia contro gli ambientalisti che si opponevano allo sradicamento di alberi nel piccolo parco di Gezi per far posto a un ennesimo centro commerciale le cause profonde erano altre, e scaturivano dal risentimento contro il crescente conservatorismo sociale, le violazioni della privacy e il contesto repressivo nel quale agiscono sia la politica che i media.
Il Primo ministro ha deciso di trattare queste questioni – che si sono diramate in 80 delle 81 province turche – come un complotto contro il suo governo e ha reagito con rabbia, denigrando i protestanti e scatenando la violenza della polizia che ha portato alla morte di sette persone.
Questo comportamento era in netto contrasto con i gesti e il linguaggio più concilianti del Presidente Abdullah Gül e del vice Primo ministro Bülent Arınç Perseguitato dall’esperienza della protesta di Gezi, Erdoğan si è trovato poco dopo a dover fronteggiare una sfida ancor più formidabile.
Il 17 e il 25 dicembre il Paese è stato scosso da due ondate di indagini su presunte mazzette. I figli di tre ministri e uomini di affari legati al governo sono stati inquisiti quando una raffica di registrazioni legali e illegali – che coinvolgono il Primo ministro e suo figlio – è stata distribuita via Twitter e You- Tube, entrambi poi messi al bando. La corte costituzionale ha nel frattempo rimosso il divieto per Twitter ma YouTube rimane inaccessibile.
Il Primo ministro e il suo partito AKP hanno partecipato alla prima tornata del ciclo elettorale di 18 mesi, le amministrative, mentre si trovavano a fronteggiare queste inchieste, convinti che fossero ispirate dal precedente alleato, il movimento Gülen, ben radicato in ambiti giuridici e nella polizia. Il Primo ministro ha risposto alle registrazioni compromettenti che lo coinvolgevano in malefatte finanziarie, licenziando pubblici ministeri, rimuovendo giudici e intervenendo direttamente nel procedimento giudiziario.
A suo agio nelle avversità e nel contesto polarizzato da lui stesso creato, Erdoğan è riuscito ad assicurarsi la lealtà della maggior parte dei suoi sostenitori. Il suo partito ha ottenuto un sorprendente 44% dei voti. Con un simile risultato e la palese inadeguatezza delle opposizioni, le ambizioni presidenziali del Primo ministro sembrano resuscitate e rafforzate. La previsione che lui e il presidente uscente Abdullah Gül si potessero scambiare il posto è stata vanificata quando Gül si è ritirato dalla contesa per il ruolo di Primo ministro dichiarando che “nella situazione attuale” non intende “intrattenere ambizioni politiche”. Perciò la strada verso la presidenza per Erdoğan è spianata.
Visti gli ampi poteri che il sistema turco garantisce al Primo ministro, un Presidente eletto con suffragio popolare potrebbe creare problemi di legittimità e di sovrapposizione di mandati. Nulla nella carriera di Erdoğan fa supporre che sia disposto a condividere il potere o cedere l’autorità che ha maneggiato con tanta efficacia nel corso degli ultimi 11 anni per dominare la scena politica. Il suo tormento è come essere a capo dell’esecutivo in un sistema dove quel ruolo compete al Primo ministro.
Sarà in grado di trovare un premier asservito – un “Medvedev” al suo “Putin” – capace di tenere a freno le ambizioni e lasciare che Erdoğan diriga il Paese dal suo palazzo presidenziale? Questo è il quesito. La risposta dipende dalla decisione finale di Erdoğan. Se vuole il posto, con ogni probabilità sarà suo.
Se vuole, Recep Tayyip Erdoğan potrà essere il primo Presidente del Paese a elezione diretta.