Le presunte alleanze dei gialloverdi con gli altri nazional-populisti europei non tengono né alla prova del bilancio né a quella sulla gestione delle migrazioni. Intanto il governo italiano mette in scena prove di finanza futurista
L’alleanza europea nazional-populista non esiste
Bruxelles boccia la manovra del governo italiano. E questa non è una sorpresa.
Il governo italiano replica che questa risposta di Bruxelles non cambia le cose. Anche questa non è una sorpresa.
Incuriosisce invece leggere la reazione dei potenziali partner elettorali europei del governo italiano: il cancelliere austriaco e Presidente pro-tempore del Consiglio UE, il popolare nazionalista Sebastian Kurz, difende la bocciatura di Bruxelles e descrive «inaccettabile» l’attuale proposta di budget italiana, perché non rispetta le regole concordate e fa presagire una «seconda Grecia».
Sposa la linea di Bruxelles anche la leader tedesca di AfD, Alice Weidel: «Manovra folle, sono pazzi, orrendo indebitamento italiano». E si domanda: «Come si può vendere il concetto che 500mila italiani in più quest’anno andranno in pensione ma ci sarà anche un reddito di cittadinanza e una flat tax?».
Anche il terzo alleato europeo, il premier ungherese Orban, sbandiera l’affidabilità economica del proprio governo che in due mandati, dal 2010 a oggi, ha portato il deficit ungherese dal 5% al 2% e il debito pubblico dall’80,5% al 73,6% (valore del 2017).
«I nazionalisti non possono andare d’accordo con altri nazionalisti». L’identificazione totale con l’interesse del proprio Paese ostacola la reale possibilità di un fronte unito internazionale, fa notare la politologa Nadia Urbinati.
Un altro bruciante conflitto di interessi si osserva sul tanto sbandierato tema dei migranti. Appare poco azzeccato l’asse Italia/Austria/Ungheria, alleanza già geograficamente – prima che politicamente – inconsistente: l’interesse dell’Italia appartiene al tipo dei Paesi di “primo sbarco” mentre l’interesse degli altri 3 potenziali alleati è del tipo paesi di “secondo sbarco”. A conferma di ciò, l’Italia ha tutto da guadagnare da una revisione del Trattato di Dublino – che penalizza proprio i Paesi di primo sbarco – mentre i suoi amici hanno tutto da perdere e infatti hanno osteggiato e ostacolato ogni avvio di riforma con il contraddittorio sostegno del governo italiano che ha apparentemente agito contro i propri interessi – gialloverdi – senza che il suo favore (o autogol?) sia stato contraccambiato da nessuna solidarietà nella gestione dei flussi “secondari”, per lo meno.
«La forza trainante del nazional-populismo», come Trump ha definito l’Italia di oggi, rischia di non riuscire nella sua scommessa di buttare all’aria i vecchi assetti di Bruxelles, ostacolata proprio dai suoi celebrati compagni di strada europei.
Italy for sale
Squarci di finanza futurista: nel 2019 scadono titoli del Tesoro italiano detenuti da creditori esteri per un valore di oltre 60 miliardi di euro. Gli attuali creditori potrebbero decidere di non rinnovarli, per paura di esporsi troppo sul debito italiano, di un Paese che versa in acque difficili ed è bollato da rating internazionali spaventati dalla scarsa credibilità della governance nazionale. Se questa previsione futurologa fosse attendibile, lo Stato italiano si troverebbe nell’affannosa ricerca di 60 miliardi per rimpiazzare questi creditori stranieri e di altri 50 miliardi per finanziare il nuovo deficit previsto.
Sempre nel 2019, il Tesoro italiano deve collocare sul mercato obbligazioni per 250 miliardi di euro, per poter rimborsare altri prestiti in scadenza durante l’anno. In aggiunta, nei primi mesi del governo gialloverde, sono già usciti quasi 60 miliardi di euro dall’Italia, grazie a investitori stranieri che hanno poca voglia di scommettere sull’attuale rischio Italia. Il debito italiano e un possibile default per carenza di liquidità potrebbero quindi diventare un intrigo internazionale, con effetti non dissimili – verosimilmente più gravi – da quelli del fallimento di Lehman Brothers.
Occasione preziosa per correre in aiuto dell’Italia, Stato fondatore dell’Unione Europea, che sarebbe così sotto l’influenza dei suoi potenziali salvatori. Pochi giorni fa, Putin, durante un incontro a sorpresa a Mosca con il vice premier Salvini, ha dichiarato che «non ci sono remore politiche sull’acquisto di titoli di Stato italiani». Salvini, che «in Russia si sente a casa, mentre in alcuni Paesi della Ue no», durante l’evento di Confindustria Russia a cui ha partecipato, ha buttato lì il suo pitch: «Se avete titoli di Stato da comprare, noi ne abbiamo da vendere per qualche miliardo».
Ma Putin si potrebbe permettere uno shopping da pochi spiccioli – 6 miliardi, si valuta -, mentre Trump potrebbe veramente sbarcare a Roma: pare che già l’estate scorsa abbia offerto al Primo Ministro Conte il possibile aiuto dell’Exchange Stabilization Fund del Tesoro Usa.
Non sembra proprio essere di attualità la via portoghese alla crescita, fatta di risanamento e conti in ordine, che ha restituito a Lisbona indipendenza e reputazione, oltre che crescita sostenibile, come evidenziato su FT di lunedi scorso, proprio sottolineando la differenza con le inefficaci politiche allegre di Roma.
@GiuScognamiglio
Le presunte alleanze dei gialloverdi con gli altri nazional-populisti europei non tengono né alla prova del bilancio né a quella sulla gestione delle migrazioni. Intanto il governo italiano mette in scena prove di finanza futurista