I miliziani somali di al-Shabaab, la settimana scorsa, sono tornati a colpire Mogadiscio attaccando un convoglio delle Nazioni Unite nei pressi dell’uscita fortificata dell’aeroporto, che ospita il quartier generale dell’Amisom, la missione di pace dell’Unione africana formata da 22mila effettivi provenienti da sei nazioni.

Uno shahid appartenente al gruppo islamista si è fatto esplodere in uno dei punti sensibili della capitale somala, dove anche quest’anno gli shabaab hanno rivendicato attentati e assalti armati contro altri obiettivi sensibili e di valore simbolico, come la sede del parlamento e quella della presidenza.
Pochi giorni prima dell’attacco all’aeroporto, lo scorso 22 novembre, i miliziani shabaab hanno colpito anche in Kenya, nella zona di Mandera, che si trova quasi sulla linea di confine del territorio keniano, vicinissima alla Somalia, dove in un efferato attacco contro un autobus hanno ucciso a sangue freddo 28 persone come risposta ai raid condotti pochi giorni prima dalla polizia di Mombasa in alcune moschee della città portuale.
Nel portare a compimento la “rappresaglia” gli islamisti hanno dimostrato una particolare ferocia: prima hanno costretto tutti i passeggeri a scendere e poi li hanno divisi in due gruppi, somali e non somali, poi hanno obbligato quest’ultimi a leggere versetti del Corano e quelli che non erano in grado di farlo sono stati separati dagli altri e giustiziati sommariamente.

Al-Shabaab non è però nuova a sconfinamenti, soprattutto dopo che lo scorso giugno ha dichiarato il Kenya zona di guerra accusando Nairobi di aver inviato soldati in Somalia nell’ottobre del 2011, in sostegno della missione Amisom.
Da allora il movimento jihadista somalo ha portato a termine almeno 135 attentati in territorio keniano, incluso quello del settembre 2013 al centro commerciale Nakumatt Westgate di Nairobi, dove sono rimaste uccise 71 persone, tra le quali anche numerosi turisti di tredici diverse nazionalità.
Per raccontare la storia del movimento Harakat al-Shabaab al-Mujaahidiin è necessario tornare all’estate 2006, quando l’Unione delle Corti islamiche, con l’appoggio della popolazione di Mogadiscio e col sostegno di Libia e Arabia Saudita, pose fine al dominio dei brutali signori della guerra in Somalia.
Al-Shabaab, che in arabo significa “la gioventù”, si sviluppa in questo periodo, come la fazione più giovane, disciplinata e radicale delle Corti islamiche. E, dopo l’uscita di scena di quest’ultime, l’organizzazione diventa più forte e influente di qualsiasi altro gruppo armato nel paese.
Tanto che fino a due anni fa, il gruppo aveva il controllo di buona parte del territorio somalo. Poi, sotto l’offensiva congiunta dell’esercito governativo e del contingente Amisom è stato costretto ad abbandonare Mogadiscio e diverse altre città del sud del paese, tra cui l’importante porto di Chisimaio. Fino ad arrivare all’inizio di ottobre, quando i suoi membri sono stati costretti a ritirarsi anche da Barawe (200 chilometri a sudovest della capitale), l’ultimo grande porto controllato dai fondamentalisti islamici, tornato dopo ventitre anni sotto il controllo di Mogadiscio.
Ciononostante, al-Shabaab è ancora considerato il più temibile gruppo radicale islamico operante in Africa orientale e nel Corno. Il Dipartimento di Stato Usa, che nel febbraio 2008 lo ha inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche, nel suo ultimo Country report on terrorism evidenzia come la milizia islamista mantenga un certo controllo in alcune zone rurali della Somalia, nonché una presenza destabilizzante in alcune aree urbane, dove è ancora in grado di operare in relativa sicurezza.
Il report spiega anche come nel 2012 gli estremisti islamici abbiano giurato obbedienza ad al-Qaeda e come tale adesione abbia provocato pesanti contrasti all’interno del movimento, già in difficoltà a causa dell’arresto e dell’eliminazione di alcuni dei suoi capi. L’ultimo dei quali Ahmed Abdi Godane, il cui nome di battaglia era Sheik Mukhtar Abu Zubeir, è stato ucciso lo scorso settembre da un attacco aereo statunitense.
L’uccisione di Godane, considerato la mente dell’attentato allo shopping center di Nairobi, è stato un duro colpo per al-Shabaab, che dopo la sua morte lo ha sostituito con Amnyat Mahad Omar Alì, 40 anni, noto come Abu Ahmed Omar Ubeidi.
E’ evidente che con l’eliminazione di molti dei suoi leader e la cacciata da Mogadiscio e da Chisimayo, l’organizzazione ha subito un forte contraccolpo organizzativo e logistico, anche per il venir meno delle sue risorse economiche. Tutto ciò ha costretto gli estremisti somali al ritiro in aree periferiche di scarso valore strategico.
Al-Shabaab è comunque riuscita a ricavarsi nuovamente uno spazio lungo la costa, a metà tra Mogadiscio e Kisimayo, da dove il movimento ha potuto ancora una volta alimentare i propri traffici illeciti e il saccheggio degli aiuti umanitari, oltre a portare a termine nuovi e sanguinosi attacchi anche nella zona costiera del Kenia. In due dei quali, lo scorso giugno, nella cittadina di Mpeketoni hanno perso la vita più di cento persone che stavano guardando una partita dei Mondiali di calcio in televisione.
Seppur ridimensionato, il gruppo islamista sembra quindi destinato a sopravvivere continuando a costituire una seria minaccia per la Somalia, per le truppe dell’Amisom e per la sicurezza dei paesi dell’area.
I miliziani somali di al-Shabaab, la settimana scorsa, sono tornati a colpire Mogadiscio attaccando un convoglio delle Nazioni Unite nei pressi dell’uscita fortificata dell’aeroporto, che ospita il quartier generale dell’Amisom, la missione di pace dell’Unione africana formata da 22mila effettivi provenienti da sei nazioni.