
Putin va in visita in Grecia e Lavrov in Ungheria, due dei Paesi Ue più ostili alle sanzioni, mentre il ministro degli Esteri tedesco Steinmeier parla già di alleggerirle. Intanto Junker ha già annunciato la sua presenza al forum economico di San Pietroburgo a metà giugno.
Tra poco l’Europa dovrà decidere se rinnovare le sanzioni imposte alla Russia per la guerra in Ucraina o meno. E le manovre russe e di alcuni Paesi europei per non farle prorogare non sono nemmeno tanto discrete. Il fronte “filorusso” tra i membri dell’Ue sembra essere sempre più compatto e deciso a votare contro, ma anche tra i Paesi meno bendisposti nei confronti di Mosca l’argomento comincia a essere logoro. La Germania, per esempio, non è proprio tra i Paesi europei più ostili a Putin, ma è di sicuro tra quelli che finora hanno mantenuto una posizione rigida e coerente. Ma due giorni fa il loro ministro degli Esteri Steinmeier si è espresso a favore di una, seppur graduale, riduzione del regime di sanzioni contro la Russia «se Mosca ottempera ai suoi obblighi secondo gli accordi di pace». La posizione tedesca sembra la stessa degli ultimi due anni, ma in realtà nasconde un ammorbidimento. «Spero che entro la fine di giugno ci saranno dei progressi e che possiamo valutare se ridurre le sanzioni, ma anche se non ce ne fossero sarebbe comunque necessaria una nuova valutazione», ha detto Steinmeier, prima di aggiungere che «Il nostro obiettivo non è mantenere le sanzioni, ma risolvere il conflitto». Ed è in questa apparente coerenza che si nasconde la trappola di Minsk.
Il pantano degli accordi di Minsk
Gli accordi di Minsk sono un alibi. Legare le sanzioni al solo protocollo di pace avviato quando il conflitto infuriava è il regalo migliore che l’Europa possa fare a Putin per le sue malefatte in Ucraina. Quella dozzina di punti pattuiti ormai più di un anno fa sono un pantano in cui l’Ucraina si è trovata invischiata a causa della propria posizione di debolezza sia sul campo militare che su quello internazionale. Usarli come parametro significa non tenere in conto tutti quegli aspetti dell’aggressione militare russa all’Ucraina che non sono contemplati nel protocollo. Come ad esempio l’impiego di militari sotto copertura, la fornitura segreta di armi ai separatisti e l’incarcerazione di cittadini ucraini sequestrati in Crimea e in Donbass, senza contare il danno ormai arrecato e la destabilizzazione dell’intera regione per chissà quanto tempo.
Ha in un certo senso ragione Steinmeier quando dice che a loro non interessano le sanzioni ma la fine del conflitto. Si potrebbe aggiungere che ai partner europei dell’Ucraina non interessa né ristabilire l’integrità territoriale dell’Ucraina né riparare il danno causato dalla Russia all’equilibrio che ha governato il continente negli ultimi 70 anni. Tutto quello che interessa è trovare un appiglio per non perdere la faccia, liberarsi delle sanzioni e tornare a fare affari come e più di prima. Altrimenti non si spiega l’imbarazzante silenzio da parte occidentale sull’occupazione militare e successiva annessione della Crimea.
La doppia trappola che si nasconde dietro il Minsk comprende infatti anche il fatto che tacendo completamente della Crimea rischia di sdoganarne una volta per sempre l’annessione con la forza da parte della Russia, cosa che sta già avvenendo sotto i nostri occhi. Rischia di essere, insomma, una sorta di riconoscimento di fatto.
E invece le sanzioni andrebbero mantenute ed anzi rincarate nella dose, perché la loro efficacia è ancora più ampia sul medio periodo. Perché sono l’unica vera arma nelle mani dell’Europa e degli Usa per costringere la Russia a cambiare passo in Ucraina, spingerla a mollare la presa sul Donbass e persino riparare il torto della Crimea. Perché se un ritorno della penisola all’Ucraina non è nemmeno pensabile, questo non vuol dire che non debba nemmeno essere ipotizzata un forma di risarcimento.
Provarci è sempre meglio che far finta di niente.
@daniloeliatweet