Sono passati 2 anni da quando Bouzizi, un venditore ambulante tunisino, si è immolato per protestare contro la precarietà economica e gli eccessi del Presidente Ben Ali.
Un’ondata di cambiamenti senza precedenti ha poi coinvolto la mappatura politica del Nord Africa e dopo la Tunisia le rivolte sono arrivate in Egitto, Libia, Yemen e Siria. Ognuna con modalità e tempi diversi. A che punto siamo oggi? La primavera araba ha portato ad un maggior pluralismo politico, spianando la via per la nascita di istituzioni democratiche. Tuttavia, se in alcuni paesi della regione le prime elezioni politiche libere si sono tenute con successo (come in Tunisia, Egitto e Libia), oggi questi stessi paesi stanno affrontando una fase d’arresto nella loro transizione verso la democrazia. Ad oltre due anni dall’inizio delle rivolte, infatti, la situazione nel mondo arabo è tornata ad essere preoccupante. L’entusiasmo della “Primavera araba” pare essere per il momento svanito e il percorso di avvicinamento a Istituzioni democratiche e rispettose dei diritti umani, percorso certamente lungo e tortuoso, sta disattendendo le speranze delle popolazioni coinvolte. I forti scontri delle ultime settimane tra laici e religiosi, musulmani tolleranti e radicali, maggioranze e minoranze religiose, spinte localiste e centralizzatrici, dimostrano la fragilità e l’imprevedibilità del percorso intrapreso dall’intera regione, con un grave impatto anche in termini di sicurezza.
La democrazia non è immediata. La Primavera araba è un processo lento e una vera democratizzazione richiede tempo. L’abbattimento dei vecchi regimi è stato certamente un risultato importante, ma si tratta soltanto dell’inizio di un processo il cui risultato finale non è garantito. Il contenimento degli effetti rivoluzionari appare ancora profondamente in fieri e le nuove democrazie islamiche devono ancora imparare a “gestire” tempi più lunghi di quelli dei regimi autocratici.
Verso un modello simile a quello turco? I paesi coinvolti nella primavera araba nelle loro prime scelte democratiche hanno optato per i partiti moderatamente islamici (vedi Egitto, Tunisia, Marocco). I prossimi sviluppi regionali potrebbero vedere i partiti islamici divenire ancora protagonisti (vedi le prossime elezioni in Egitto, ove la possibilità di una rivincita per i Fratelli Musulmani non sembra lontana nonostante i gravi disaccordi sulla nuova Costituzione proposta dal Presidente Morsi), modellando di conseguenza le scelte politiche ed economiche. Tuttavia, segnali incoraggianti esistono già per alcuni casi: in Tunisia il partito En-Nahda si è evoluto verso posizioni di tolleranza e di crescente apertura nei confronti dei partiti laici e di sinistra del panorama politico tunisino (formando una coalizione con due partiti laici che avrà il compito di redigere la nuova Costituzione e plasmare il nuovo Stato tunisino). Sia En-Nahda in Tunisia che il Partito “Giustizia e Sviluppo” (PJD) in Marocco hanno mostrato un approccio pragmatico all’indomani delle elezioni, affermando di voler rispettare le libertà personali e di non essere intenzionati ad intromettersi nella vita privata dei cittadini, ponendo invece al primo posto la battaglia per la giustizia sociale e per garantire una vita dignitosa a tutte le fasce della popolazione. Vedere progredire questi paesi verso una democrazia come quella turca, è certamente un risultato che appoggiamo pienamente.
Nel frattempo però qualche conseguenza della Primavera araba comincia a farsi sentire anche nell’Africa Sahariana e del Sahel: dopo la pacificazione della Libia numerosi soldati allo sbando e mercenari sono fuggiti verso il Sahel con ingenti quantità di armamenti. Così il Mali è divenuto il punto d’incontro di chi è pronto a combattere qualunque battaglia e l’ombra del jihadismio comincia ad emergere con forza nuovamente in molti Stati dell’area come Nigeria, Sudan, Niger, Mauritania, Kenya, Tanzania, Somalia, ecc.
Egitto e Tunisia: delusi dall’Islam politico? In Egitto e Tunisia l’equilibrio fino ad oggi creato non soddisfa ancora le rispettive popolazioni che, a causa dei problemi economici e sociali ancora esistenti, sono tornate a mettere pressione ai nuovi Governi post-rivoluzionari:
L’Egitto è governato dal Presidente Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani (giugno 2012). Le elezioni politiche si sono tenute tra Novembre 2011 e Febbraio 2012, concludendosi con la vittoria del partito dei Fratelli Musulmani, “Libertà e Giustizia”. Tuttavia, l’Assemblea del Popolo (Camera Bassa) è stato sciolto nel giugno 2012, e le nuove elezioni sono annunciate per aprile 2013. In Egitto, cresce l’opposizione politica e sociale nei confronti del Presidente Morsi e del Governo e si intensificano le manifestazioni e gli scontri in diverse città del paese. La popolazione è particolarmente insoddisfatta dalla nuova Costituzione che è stata approvata con referendum popolare (dicembre 2012), con circa il 64% dei voti, ma con una bassa affluenza alle urne (inferiore al 33%). I gruppi di opposizione – laici e liberali – riunitisi nel “Fronte di Salvezza Nazionale” contestano alcune disposizioni della Costituzione tra cui: il ruolo dell’Islam, i diritti delle minoranze religiose e delle donne, la separazione dei poteri tra il Parlamento, il Presidente e l’esercito. Il presidente ha lanciato un appello al dialogo nazionale nel tentativo di ridurre le tensioni. La principale concessione annunciata da Morsi riguarda l’apertura ad un processo di revisione costituzionale, ma l’opposizione ha rifiutato l’invito al dialogo a fronte dei limitati margini di negoziazione concessi nel processo di revisione costituzionale e in assenza di una chiara agenda politica. A due anni dalla caduta della del regime di Mubarak, il processo di transizione appare quindi ancora molto fragile e il rischio di nuovi disordini elevato. Il Presidente Morsi è stato duramente criticato anche dai propri sostenitori: esponenti dei Fratelli Musulmani e delle forze di sicurezza hanno sottolineato i ritardi e i limitati risultati nella gestione delle violente proteste. Il caos in cui si ri-trova il paese, come dimostrano i violenti scontri delle ultime settimane, sta mettendo in dubbio da una parte lo svolgimento delle prossime elezioni politiche (annunciate per aprile 2013), dall’altra la concessione di un prestito di $4,8 miliardi da parte del FMI (già posticipato diverse volte).
In Tunisia le prime elezioni libere si sono tenute ad ottobre 2011. Il paese è attualmente governato da una coalizione tripartitica guidata dal partito – moderatamente – islamico En-Nahda, che ha ottenuto alle elezioni circa il 39% dei voti e 89 seggi su 217 all’Assemblea (mentre gli altri due partiti al Governo, Congresso per la Repubblica – 8% dei voti e 29 seggi – e Ettakatol – 6% dei voti e 20 seggi – sono secolari). La nuova Costituzione, che è in via di stesura, dovrebbe essere adottata dal Parlamento non prima di aprile 2013 – sei mesi dopo del previsto – e le nuove elezioni dovrebbero aver luogo entro giugno 2013. In Tunisia, da poco è stato celebrato il secondo anniversario della Primavera araba in un clima di tensione sociale e politica dovuto alla crescente minaccia jihadista (si è infatti registrato un notevole peggioramento della sicurezza legato ad una serie di attentati verificatisi tra ottobre 2012 e gennaio 2013) e all’empasse sulla Costituzione (dovuta ai disaccordi dei partiti della coalizione governativa che provengono da ideologie diverse).
Sono passati 2 anni da quando Bouzizi, un venditore ambulante tunisino, si è immolato per protestare contro la precarietà economica e gli eccessi del Presidente Ben Ali.