L’America Rurale, le donne dei sobborghi, gli afroamericani, i giovani latinos e la working class della Rust Belt con i 2,7 milioni di iscritti ai sindacati negli stati in bilico, dove 4 anni fa 45mila persone hanno determinato l’esito del voto.
La sfida tra Kamala Harris e Donald Trump si giocherà per una manciata di voti. I due candidati dovranno sudarsi ogni singola preferenza e per farlo dovranno convincere le tante piccole “Americhe” che si recheranno alle urne. Gli Stati Uniti, infatti, hanno moltissimi blocchi elettorali, segmenti della popolazione diversi e stratificati. E in una corsa così ravvicinata come quella del 2024 né democratici né repubblicani possono permettersi di trascurane qualcuno.
La frontiera dell’America Rurale
È il caso dell’America Rurale. Quella lontana dai grandi centri urbani e che nel corso degli anni è diventata una roccaforte repubblicana (e trumpiana). Oggi i dem a caccia di voti negli Stati in bilico della Rust Belt come Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, hanno messo in piedi un progetto per erodere quel consenso “uscendo” dalle tradizionali zone sicure delle grandi città per provare a recuperare lì un po’ di voti utili. Fino al 2000 le contee rurali dividevano i loro voti abbastanza equamente tra i due partiti, ma dopo quella stagione il divario ha iniziato a crescere. Nel 2010, riporta il Pew Research Center, il divario era cresciuto a 13 punti e oggi si attesta a 25, con i repubblicani che si portano a casa oltre il 60% delle preferenze. Eppure, dicono molti a sinistra, l’attivismo di Kamala Harris e del suo candidato vice Tim Walz può ridurre quel divario, rendendo meno arduo portarsi a casa qualche Stato in bilico.
Il peso delle donne nei sobborghi
Un’altra “America” importantissima per decidere l’esito del voto è quella dei sobborghi. Luoghi mitologici raccontati in tantissimi film e che dopo gli anni ‘50 hanno costituito l’ago della bilancia in tantissime elezioni. Rispetto alle contee rurali, i sobborghi mostrano un’equa distribuzione di preferenze tra destra e sinistra. E infatti la loro oscillazione in molti casi ha deciso il voto. Nel 2020, ad esempio, hanno permesso a Joe Biden di vincere contro Donald Trump. L’ex vice di Barack Obama, infatti, ha conquistato il 54% delle preferenze in quelle contee contro il 45% che Hillary Clinton aveva raccolto quattro anni prima. A spingere questi numeri sono soprattutto le donne, oggi un corpo elettorale molto dinamico che si è lasciato alle spalle la rappresentazione più stereotipata delle “Soccer mom” preoccupate moltissimo della sicurezza dei figli e poco di quello che succedeva fuori dalla cerchia dei sobborghi.
Secondo un sondaggio della Ong Kaiser Family Foundation (KFF) il 47% delle donne che vive in quei distretti si definisce democratico. Ecco perché nel 2020 e nel 2022 il loro voto è andato al partito dell’asinello. Nell’anno della pandemia hanno scelto Biden come risposta a una presidenza caotica come quella di Trump. Mentre due anni dopo hanno scelto i dem in risposta alla decisione della Corte suprema di sovvertire la sentenza Roe v. Wade che garantiva l’aborto a livello federale. Sempre secondo KFF il 69% delle Suburban Women si dice pro-choice e il 77% sostiene che l’aborto debba essere legale. Questo non vuol dire che Harris abbia gioco facile. Per la maggioranza relativa di loro l’inflazione resta il tema più preoccupante e su questo punto l’amministrazione Biden ha dimostrato di essere in difficoltà. Difficoltà che si riverbera anche in un altro segmento importante. Il voto afroamericano.
Le nuove identità degli afroamericani
Dalla fine degli anni ’60 i dem sono sempre stati considerati il partito delle minoranze e degli afroamericani. Oggi è ancora così, ma quel predominio si sta sgretolando. Nelle ultime settimane prima che la sua campagna elettorale implodesse, Biden era apparso in affanno proprio tra gli elettori di colore. Quello stesso gruppo elettorale che nel 2020 aveva salvato le sue primarie, con un grande successo in Nord Carolina dopo i flop in Iowa e New Hampshire. Con il passaggio di testimone a Harris quella fetta di Paese non si è automaticamente spostata verso la vicepresidente. Lei stessa, durante un evento con la National Association of Black Journalists di metà settembre, ha detto che non pensa di raccogliere voti tra gli afroamericani solo “perché sono nera”, ma di dover lavorare per guadagnare il loro voto.
Questo è vero in particolare tra gli uomini. La candidatura dell’ex senatrice ha animato soprattutto le donne di colore, ma tra i maschi questo entusiasmo ancora non si è visto e può avere un peso decisivo soprattutto in Georgia e Nord Carolina. Secondo un sondaggio della NAACP, un’associazione per i diritti civili degli afroamericani, un uomo afroamericano su quattro si dice pronto a votare per Trump a novembre. Numeri simili in un altro sondaggio del New York Times secondo il quale il sostegno per Trump sarebbe intorno al 17%.
Secondo gli analisti americani i fattori dietro questo scivolamento a destra sono sostanzialmente due. Il primo è che le nuove generazioni sono molto lontane rispetto alla grande stagione della lotta per i diritti civili. E questa lontananza ha fatto sì che la loro identità non sia plasmata dai diritti civili. Il secondo riguarda la sensazione che Trump risponda a una richiesta di cambiamento e rappresenti l’argine contro l’aumento dei prezzi e una salvaguardia della ricchezza insita nel sogno americano. A credere a questo sono soprattutto i giovanissimi. Secondo il Black Voter Projecti, il 22% dei giovanissimi tra i 18 e 29 anni è più incline a votare per Trump.
L’indecisione dei giovani Latinos
Ma i giovani afroamericani non sono i soli a poter incidere sull’esito del voto. Questo è vero anche per l’altro grandissimo bacino del voto giovane, i latinos. Gli americani di origine ispanica sono un altro pezzettino di Paese che i dem non possono dare per scontato. Stando a un sondaggio realizzato da UnidosUs, organizzazione che si batte per i diritti degli elettori ispanici, il 48% dei giovani tra i 18 e 29 anni sostiene di non essere entrato in contatto con nessun partito in questa elezione. Concentrarsi su questo segmento è particolarmente importante perché secondo le stime dei demografi ogni anno un milione di cittadini americani di origine ispanica diventa maggiorenne. Sempre nella coorte dei giovanissimi c’è lo spicchio più alto di elettori indipendenti, quelli che non si riconoscono in nessuna affiliazione partitica. Per questa ragione il loro appeal e il loro essere “fluttuanti” ne fa un bottino elettorale fondamentale.
Qui negli ultimi anni il Gop ha fatto conquiste importanti. Nel 2020 Trump ha preso il 31% dei voti degli uomini ispanici con un balzo di 7 punti rispetto al 2016. Questo vale soprattutto in quelle contee lungo il confine con il Messico e in Florida. Va però ricordato che il voto ispanico è sfaccettato. Ci sono gli ispanici di origine cubana e venezuelana che sono molto conservatori, e poi ci sono gli elettori di origine messicana che tengono a votare più a sinistra. Un po’ come nei sobborghi e tra gli elettori afroamericani, anche gli ispanici si dividono tra donne e uomini. Secondo i dati di Noticias Univision e YouGov, il 59% delle prime voterebbe Harris, mentre la percentuale scenderebbe al 50% tra i secondi. Ma di nuovo anche tra di loro pende la questione dell’inflazione e della preoccupazione per il lavoro e l’economia. Dossier molto delicati per i dem.
Dove va la working class della Rust Belt
C’è infine un gigantesco elefante nel mondo della politica americana. Stiamo parlando della working class. Secondo una grossa ricerca della nonprofit Working Families oggi sotto quell’etichetta ci sono milioni di americani di diversa estrazione tanto che il 63% dell’elettorato si identifica come appartenente alla classe operaia. Ma di questa c’è un segmento che può ancora giocare un ruolo importante nonostante anni di declino. Stiamo parlando dei colletti blu della Rust Belt, la fetta di America che per molto tempo è stata il cuore pulsante del Paese e bastione dem. Intorno al loro ruolo nell’elezione di Trump si è discusso molto. Come ha spiegato lo storico Mario Del Pero, dipingere gli operai come un nuovo pezzo della coalizione trumpiana è fuorviante. Nel 2016 tra Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, Trump ha preso meno voti di Barack Obama, segno che quella fetta di elettori ha preferito rimanere a casa invece che votare per Hillary Clinton.
Sulla loro mobilitazione si gioca quindi una grossa fetta del successo alle urne. Una delle chiavi che i dem sembrano aver trovato è quella di spingere attraverso i sindacati. Biden stesso ha dato il suo supporto ai sindacati in modo incondizionato soprattutto durante gli scioperi nel settore automobilistico. Come ha scritto in un memo Julie Chavez Rodriguez, una delle responsabili del comitato elettorale di Harris e Walz, ci sono “2,7 milioni di iscritti ai sindacati negli Stati in bilico, e questo va tenuto bene a mente quando pensiamo che quattro anni fa in quegli Stati hanno deciso il voto 45mila persone”.
Nel 2020 Biden ha preso il 57% dei voti tra gli elettori sindacalizzati contro il 40% di Trump. Harris deve cercare di attestarsi su quella percentuale, ma non è semplice. Il mondo sindacale non è compatto. Teamsters, sindacato dei camionisti, per la prima volta dal 1996 ha scelto di non appoggiare nessuno. Un modo per nascondere certi imbarazzi sotto il tappeto perché una parte degli iscritti appoggia Trump mentre alcune sezioni locali in Pennsylvania, Michigan e Nevada si sono schierate con Harris. In questa partita Walz potrebbe essere la scelta giusta per fare da collante tra le anime del movimento. La persona giusta, bianco di mezza età, cresciuto in contesti rurali come Nebraska e Minnesota capace di prendere voti nei sobborghi colpiti dalla deindustrializzazione, come le contee dell’acciaio nella Pennsylvania occidentale.
La sfida tra Kamala Harris e Donald Trump si giocherà per una manciata di voti. I due candidati dovranno sudarsi ogni singola preferenza e per farlo dovranno convincere le tante piccole “Americhe” che si recheranno alle urne. Gli Stati Uniti, infatti, hanno moltissimi blocchi elettorali, segmenti della popolazione diversi e stratificati. E in una corsa così ravvicinata come quella del 2024 né democratici né repubblicani possono permettersi di trascurane qualcuno.
È il caso dell’America Rurale. Quella lontana dai grandi centri urbani e che nel corso degli anni è diventata una roccaforte repubblicana (e trumpiana). Oggi i dem a caccia di voti negli Stati in bilico della Rust Belt come Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, hanno messo in piedi un progetto per erodere quel consenso “uscendo” dalle tradizionali zone sicure delle grandi città per provare a recuperare lì un po’ di voti utili. Fino al 2000 le contee rurali dividevano i loro voti abbastanza equamente tra i due partiti, ma dopo quella stagione il divario ha iniziato a crescere. Nel 2010, riporta il Pew Research Center, il divario era cresciuto a 13 punti e oggi si attesta a 25, con i repubblicani che si portano a casa oltre il 60% delle preferenze. Eppure, dicono molti a sinistra, l’attivismo di Kamala Harris e del suo candidato vice Tim Walz può ridurre quel divario, rendendo meno arduo portarsi a casa qualche Stato in bilico.