In tre anni la valuta libanese ha perso il 98% del proprio valore. L’associazione delle banche mette in guardia il Paese contro un piano di distruzione del settore bancario da parte di un gruppo di mercenari e accusa lo Stato di avere speso più di 20 miliardi di dollari di fondi di emergenza del FMI a sostegno del contrabbando
Resta sempre molto difficile la situazione interna del Libano, sia sul fronte politico che su quello sociale ed economico. Analisti ed osservatori si dicono estremamente preoccupati per una situazione che sembra sempre più compromessa e difficile da gestire. “Il Libano potrebbe essere destinato all’oblio”, ha detto Charles Arbid, presidente del Consiglio economico e sociale. Lo ha dichiarato durante una riunione di emergenza presso la sede del Sindacato generale del lavoro, secondo quanto hanno riportato diversi media locali. Secondo Arbid, senza un salvatore all’orizzonte, il Paese rischia davvero di perdere il controllo. “Temiamo — ha aggiunto — che il Libano stia cambiando e che agli attuali leader non interessa il suo destino. Molti paesi sono stati dimenticati e abbandonati. La povertà e la violenza hanno prevalso dopo che il mondo ha perso interesse per loro”. Parole dure e precise, pronunciate proprio mentre la moneta libanese continua a crollare gettando il paese nello sconforto.
Il tasso di cambio per un dollaro è arrivato a circa 81.000 lire libanesi nel mercato parallelo. È stato calcolato che in tre anni la valuta libanese ha perso circa il 98% del proprio valore. Le banche continuano a scioperare, rifiutando peraltro di essere ritenute pienamente responsabili della crisi finanziaria del paese. Il governatore della banca centrale, Riad Salameh, ha dichiarato ad Al-Qahera News: “Il mercato nero in Libano è fuori dal controllo della banca centrale, che è diventata incapace di risolvere le crisi perché le soluzioni richiedono un progetto nazionale concreto”.
Da settimane ormai le proteste della popolazione, con sit-in di fronte alle banche, sono all’ordine del giorno. L’Associazione delle banche in Libano ha messo in guardia contro “un piano per distruggere sistematicamente il settore bancario, portato avanti da un gruppo di non più di 50 mercenari”. L’associazione si riferisce a un gruppo di manifestanti che giovedì scorso durante le proteste ha anche appiccato il fuoco dinanzi alle sedi di alcune banche. L’associazione ha aggiunto in un comunicato di essere sconcertata da tutte le accuse secondo cui il suo sciopero starebbe contribuendo al deprezzamento della valuta locale. “Se le banche chiudono, sono accusate di svalutare la moneta locale; se aprono, sono accusate di giocare con il mercato”. L’associazione ha poi accusato lo stato di aver speso più di 20 miliardi di dollari dal 2019 a sostegno del contrabbando — sovvenzionando materiali portati illegalmente in Siria.
A Beirut, la città che un tempo era definita la “Parigi dell’Est”, ora circa due terzi della popolazione patisce la povertà. La vita è diventata molto complicata, con blackout elettrici frequenti e carenza di beni di prima necessità (in primo luogo le medicine). Negli ultimi anni la Pandemia da COVID-19 ha persino aggravato la situazione, come pure l’esplosione avvenuta nel porto di Beirut nel 2020 che ha ucciso centinaia di persone, lasciato centinaia di migliaia di senzatetto e danneggiato oltre metà della città, infliggendo enormi perdite economiche. Human Rights Watch e Amnesty International, hanno definito le indagini sull’esplosione una “farsa”. Diversi analisti fanno risalire l’inizio della crisi a ben 18 anni fa quando fu ucciso Rafik Hariri, eminente politico ed ex primo ministro del Libano, che fu assassinato da un camion esplosivo suicida a Beirut. Hariri, che aveva fatto fortuna nell’edilizia, oltre che per il suo impegno in politica, viene anche ricordato come un benefattore del paese. Aveva donato milioni di dollari alle vittime della guerra e del conflitto in Libano, e in seguito aveva svolto un ruolo importante nel porre fine alla guerra civile e nella ricostruzione della capitale. Il suo assassinio, sostengono in molti, è stato lo spartiacque che ha segnato un drammatico cambiamento di rotta, in negativo, per il Paese.
“Hariri è stato ucciso 18 anni fa e ci sono voluti circa 15 anni per distruggere l’intero paese dopo tutto quello che lui ha cercato di costruire”, ha detto l’economista libanese Nadim Shehadi. Nonostante un tribunale internazionale abbia giudicato i membri di Hezbollah colpevoli dell’assassinio di Hariri, dopo varie richieste di un’indagine sulla sua morte, il gruppo di milizie sostenuto dall’Iran ha ugualmente rafforzato la presa sul Libano. Secondo l’economista, l’influenza di Hezbollah sul Libano significa che i veri autori dell’assassinio rimarranno impuniti e il gruppo continuerà a tenere il Paese in scacco. Shehadi ha infatti affermato che, nonostante una magistratura storicamente “molto sana e funzionante” nel Libano, Hezbollah ha interferito con le indagini. Troppe dunque le problematiche irrisolte.
Otto mesi dopo le elezioni generali del paese, il Libano non ha ancora raggiunto un consenso sul suo presidente o su un parlamento funzionante. Gli analisti evidenziano come sarebbero necessarie riforme politiche urgenti per sbloccare i 3 miliardi di dollari di fondi di emergenza del Fondo monetario internazionale, ma con il sistema politico del Libano a brandelli e i suoi parlamentari che organizzano regolarmente scioperi, l’accesso a questi fondi sembra al momento improbabile. “Il nostro — ha detto Shehadi — non è un parlamento con opinioni diverse o frammentato. Vi è la paralisi di tutte le istituzioni che si è accumulata da 15, anzi da quasi 17 anni”. Ha aggiunto poi che il Libano e le sue istituzioni sono “un ostaggio del potere di veto” di Hezbollah, che ha preso piede nel Paese attraverso omicidi e costruzione di alleanze politiche.