Il governo italiano punta a uscire dal summit con una roadmap condivisa. Roma ottiene l’appoggio dell’Onu e quello di Trump. Ma le tante defezioni incidono sulla sua credibilità diplomatica. E l’assenza del maresciallo Haftar – sostenuto da Macron – affonderebbe il vertice
Messa spalle al muro, sul dossier libico la Francia si trova costretta a fare un passo indietro, lasciando momentaneamente all’Italia un ristretto margine di manovra nel dialogo sul processo di stabilizzazione. Il vertice internazionale previsto per il 12 e 13 novembre a Palermo potrebbe rappresentare uno schiaffo diplomatico al presidente Emmanuel Macron, che nei mesi scorsi aveva peccato di ottimismo arrivando a prevedere delle libere elezioni politiche in Libia già per il 10 dicembre prossimo. Un annuncio arrivato il 27 maggio durante un discusso vertice tenutosi a Parigi e giudicato fin da subito troppo precipitoso da molti osservatori.
Sebbene sia stata bollata come un mezzo fallimento a causa dall’assenza dei più importanti leader politici internazionali, la conferenza che si aprirà lunedì nel capoluogo siciliano potrebbe permettere a Roma di segnare un importante punto nella partita franco-italiana sulla gestione del dialogo tra le parti. L’obiettivo è confermare la roadmap annunciata dall’inviato speciale delle Nazioni Unite, Ghassane Salamé, che giovedì ha indicato i tre pilastri su cui costruire il cammino verso la stabilizzazione: economia, sicurezza e azione politica.
Molto dipenderà dall’adesione che avrà il summit. Il presidente del Consiglio Conte ha convocato per l’occasione i quattro protagonisti libici: il premier del governo di unità nazionale, Fayez al Sarraj, il leader della Cirenaica, Khalifa Haftar, la delegazione del parlamento di Tobruk guidata da Aguila Saleh e il capo del Consiglio di Stato, Khalid Al-Mishri.
Al momento la grande incognita è Haftar: secondo alcune voci circolate nelle ultime ore, il maresciallo sarebbe sul punto di annullare il suo viaggio nel capoluogo siciliano, vanificando così gli sforzi diplomatici dell’Italia. Ieri fonti dell’Esercito nazionale libico avrebbero confermato la notizia, spiegando che i motivi dietro questa decisione riguarderebbero la presenza a Palermo del Qatar e del Libyan Fighting Group, legato ad al-Qaida.
Siti di informazione libici ed egiziani hanno anche parlato di una visita lampo del premier italiano Giuseppe Conte a Bengasi per convincere di persona Haftar a non cancellare l’appuntamento. Un’ipotesi smentita da Roma che si è mostrata, invece, ottimista in merito alla piena partecipazione di tutti gli attori. Nei giorni scorsi il direttore dell’Aise, i servizi segreti esteri, Alberto Manenti era volato a Mosca per convincere di persona Haftar a venire a Palermo.
Sicuramente assente, invece, la cancelliera Angela Merkel che invierà il suo capo della diplomazia Niels Annen, così come il presidente russo Vladimir Putin, rappresentato invece dal premier Dimitri Medvedev e da Mikhail Bogdanov, vice-ministro degli Esteri e inviato speciale in Medio Oriente per il Cremlino.
A disertare l‘appuntamento anche il presidente statunitense Donald Trump e, soprattutto, Emmanuel Macron. In sostituzione del capo di Stato francese ci sarà il suo ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian.
Defezioni pesanti, equilibrate dall’appoggio arrivato dalle Nazioni Unite attraverso Salamé e, soprattutto, da Trump che, nel luglio scorso, ha confermato al premier Conte la leadership italiana nel dossier libico. In aiuto dell’Italia anche Mosca che ha fatto pressioni su Haftar affinché confermasse la sua presenza nel capoluogo siciliano. A Palermo il governo italiano potrà contare anche sul presidente egiziano al Sisi e su altri partner regionali come la Tunisia, il Ciad, l’Algeria e Niger, a cui si aggiunge l’Alto rappresentante europeo, Federica Mogherini.
In un simile contesto, la Francia non ha potuto esimersi dall’esprimere un sostegno di facciata all’iniziativa italiana, sottolineando il fatto che «la comunità internazionale deve restare unita» sul dossier libico. «Quando uno stretto partner come l’Italia, che è in prima linea sulla crisi libica, prende un’iniziativa, bisogna aiutarla», ha fatto sapere il Quai d’Orsay, nascondendo i suoi mal di pancia.
Ma Parigi non intende cedere e per tutta risposta ha organizzato un mini-vertice l’8 novembre al ministero degli Affari Esteri con i rappresentanti di Misurata. Un segnale chiaro inviato ai cugini rivali attraverso un gesto diplomatico che non cambierà certo le carte in tavola.
Tuttavia, la partita libica resta ancora tutta da giocare e molto dipende dai risultati della conferenza siciliana. La mancata partecipazione dei principali leader internazionali pesa sulla credibilità diplomatica del governo italiano, mentre Parigi continua a fare pressione affinché si stabilisca al più presto una nuova data per le elezioni.
In un’intervista rilasciata questa settimana all’agenzia stampa France Presse, Sarraj ha lanciato un appello ai due partner affinché si arrivi a «una visione comune». Opzione che al momento resta un miraggio, visto che gli interessi francesi e italiani in Libia rappresentano il principale ostacolo a una piena collaborazione.
Mentre Roma resta in linea con le Nazioni Unite appoggiando il Governo di Tripoli guidato da Sarraj, Parigi ufficialmente segue il blocco occidentale ma nel concreto si schiera con il maresciallo Haftar, l’uomo forte di Bengasi, che gode anche del sostegno dell’Egitto e, seppure con toni più moderati, della Russia. Quello francese resta un endorsement non ufficiale, visto che la diplomazia transalpina ha negato il fatto che Haftar sia un suo alleato ma risulta evidente che l‘eventuale assenza del leader della Cirenaica lunedì a Palermo andrebbe a vantaggio di Macron.
La competizione tra Francia e Italia non si ferma solamente al piano politico. I due Paesi sono in concorrenza anche per il petrolio libico, vera pietra angolare su cui si costruisce la dualità franco-italiana. Mentre l’Eni lo scorso anno ha raggiunto una produzione di 384mila barili confermandosi come il principale attore straniero nel Paese, la Total si sta rafforzando attraverso una serie di partenariati con altre aziende minori. Il gruppo guidato da Claudio Descalzi è un partner stabile della National Oil Corporation (Noc), colosso petrolifero nazionale, con la quale ha instaurato una stretta collaborazione. Dal canto suo, Total lo scorso anno ha realizzato solamente 31mila barili ma l’acquisizione della Marathon Oil Libya – azionista a 16,33% del campo petrolifero a Waha – avvenuta a marzo ha preoccupato la Noc che ha minacciato di bloccare l’operazione.
L’altra posta in gioco nell’intricato ginepraio libico riguarda l’immigrazione, argomento al centro di forti attriti tra i due Paesi cugini. L’Italia è intenzionata a ridurre la pressione migratoria proveniente dalla Libia dove, attualmente, sarebbero bloccate circa 650mila persone pronte ad attraversare il Mediterraneo e a raggiungere l’Europa passando per la penisola.
L‘unica cosa certa per il momento è che Parigi sosterrà, almeno ufficialmente, l’eventuale roadmap che verrà stabilità al termine della due giorni palermitana. Un atteggiamento collaborativo con gli alleati occidentali che, però, nasconde la volontà di riprendere a leadership di uno dei suoi più delicati dossier internazionali.
@DaniloCeccarell
Il governo italiano punta a uscire dal summit con una roadmap condivisa. Roma ottiene l’appoggio dell’Onu e quello di Trump. Ma le tante defezioni incidono sulla sua credibilità diplomatica. E l’assenza del maresciallo Haftar – sostenuto da Macron – affonderebbe il vertice