
In qualche post precedente ci eravamo occupati dei poliziotti locali, chiamati chengguan, spesso al centro di casi di violenza. Di solito le loro vittime sono i cosiddetti «venditori ambulanti», una categoria piuttosto nota a chi frequenta la Cina. In ogni strada sono presenti venditori di frutta, frittelle, focaccine e dolci xinjianesi, specie nelle zone a maggio traffico pedonale.

In molti casi ai turisti o agli abitati capita di vedere il loro «carretto» preso di mira dai poliziotti, che spesso impediscono le trattative, confiscando il materiale in vendita. In alcuni casi il venditore viene anche malmenato. Ma chi sono questi venditori ambulanti? Da dove arrivano?
Dato il rallentamento della crescita economica – al 7,5 record storico negativo della Cina dal 1990 – in molti ritengono che la difficoltà crescente anche a Pechino e dintorni a trovare lavoro, farà aumentare l’esercito dei venditori ambulanti. Quelli che già oggi esercitano questa professione sono spesso persone rimaste fuori dal miracolo cinese delle Riforme; quelli che si apprestano a diventarlo saranno i nuovi tagliati fuori, questa volta dal «sogno cinese».
Cominciamo con quelli che tra gli anni Novanta e i primi del Duemila si sono ritrovati senza lavoro, nonostante il «miracolo» cinese. Negli anni 90, specie dopo la repressione di Tienanmen, le Riforme presero un percorso piuttosto rapido. Si procedette dunque alla riforma delle cosiddette «aziende di stato», le SOE. La maggior parte di queste aziende, localizzate nelle città più grandi cinesi, impiegavano circa 70 milioni di persone nel 1980. Via via venne invocata «l’efficienza attraverso la riduzione della forza lavoro», una direttiva che diede vita a feroci licenziamenti di massa. Il risultato fu che nei primi anni del 2000 l’occupazione nelle imprese statali era stata dimezzata, 40 milioni di persone si ritrovano senza la tradizionale «ciotola di riso», simbolo e garanzia delle vecchie imprese di stato.
Per queste persone – quasi sempre di cinquant’anni circa – si aprivano le porte di una nuova condizione sociale. La studiosa Dorothy Solinger, li ha definiti «una nuova classe suburbana». Per altro mentre di solito alla progressione economica i paesi fanno progredire ache il livello di istruzione della propria popolazione, in Cina in quegli anni questo processo non avvenne; anzi per molte fasce della popolazione si trattò di una vera e proprio «regressione» culturale, con il risultato di un difficile riposizionamento sociale e lavorativo.
E veniamo ai giorni nostri: secondo il Financial Times «i dati ufficiali di disoccupazione cinesi sono praticamente inutili in quanto non contano centinaia di milioni di lavoratori migranti. In ogni caso secondo un sondaggio pubblicato dal governo giovedì sul settore manifatturiero, l’occupazione nel settore ha subito una contrazione per 13 mesi. Un altro sondaggio pubblicato da HSBC ha mostrato che il numero di lavoratori nel settore manifatturiero si è ridotto nel mese di luglio più velocemente come non accadeva dal marzo 2009 e ci si aspetta di ulteriori tagli di posti di lavoro».
Il governo avrebbe dichiarato che sarebbero stati creati oltre 7 milioni di posti di lavoro nel primo semestre dell’anno; ma un altro sondaggio da parte del Ministero delle Risorse Umane e della sicurezza sociale, ha invece svelato che i posti di lavoro urbani sono diminuiti del 5,7 per cento nel secondo trimestre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
In qualche post precedente ci eravamo occupati dei poliziotti locali, chiamati chengguan, spesso al centro di casi di violenza. Di solito le loro vittime sono i cosiddetti «venditori ambulanti», una categoria piuttosto nota a chi frequenta la Cina. In ogni strada sono presenti venditori di frutta, frittelle, focaccine e dolci xinjianesi, specie nelle zone a maggio traffico pedonale.