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L’unione europea dopo le elezioni


Le forze nazionaliste e sovraniste non sono riuscite a sovvertire la maggioranza centrista e pro-Ue ma hanno attratto una valanga di voti, in particolare nei principali Paesi Ue. La nuova maggioranza a tre teste ha margini ridotti.

Ursula von der Leyen ricomincia da tre. E sono i soliti noti: popolari (rafforzati), socialisti (stabili) e liberali (in ritirata). Le tre forze pro-Ue, cioè, che al Parlamento europeo hanno retto le sorti del primo mandato della tedesca come presidente della Commissione, e che, considerati insieme, hanno tenuto nelle urne delle elezioni Ue del 6-9 giugno, dove hanno conquistato rispettivamente 188, 136 e 75 seggi. Presi insieme, i gruppi parlamentari di Ppe, S&D e Renew Europe possono contare, quindi, su 399 voti, 38 in più della maggioranza assoluta dell’Eurocamera, che nella nuova legislatura è fissata a 361 (su 720 seggi). La buona performance del Ppe, inoltre, ha consentito ai popolari di sgombrare il campo dalle tentazioni (per la verità molto italiane e poco brussellesi) di una figura tecnica e indipendente – citofonare Mario Draghi – per rimpiazzare la “Spitzenkandidatin” Ursula von der Leyen nella sua ricerca del bis alla guida della Commissione Ue.

L’aritmetica, insomma, è dalla sua parte; ma la politica non è una scienza esatta e, complice lo scrutinio segreto, franchi tiratori e ribelli sono in agguato (alcuni già usciti allo scoperto in tempi non sospetti, come i repubblicani francesi, i popolari sloveni e i liberali irlandesi e tedeschi). Insomma, il margine su cui può contare von der Leyen potrebbe, alla prova dei numeri, non bastare per dribblare i mal di pancia. Tanto che, già nella notte elettorale del 9 giugno, alla tedesca (e alla euro-maggioranza di larghe intese che si è ricompattata appena chiuse le urne) è arrivata l’offerta dei Verdi (54 seggi), pronti a entrare nella coalizione in cambio di garanzie sulla sopravvivenza del Green Deal, la strategia Ue per il clima divenuta bersaglio prediletto della destra in grande spolvero dopo il voto. E ciò nonostante gli ecologisti siano stati, al pari dei liberali a trazione macroniana, le grandi vittime della consultazione europea: le due formazioni che risultarono vincitrici nel 2019, trascinate in particolare dalle preferenze dei più giovani e dalle piazze dei Fridays for Future, hanno fatto registrare stavolta importanti emorragie, con rispettivamente 27 e 18 seggi in meno. All’opposto, ci sono le forze della destra radicale (almeno due, se non tre), in crescita: date come trionfatrici annunciate nelle previsioni, sono riunite tra i banchi, rispettivamente, di Conservatori e riformisti (Ecr, 83), Identità e democrazia (Id, 58), ma presenti pure in alcune frange della novantina di eurodeputati del limbo di non iscritti e non (ancora) affiliati, terreno di conquista del premier ungherese Viktor Orbán e del suo nuovo fronte dei “Patrioti per l’Europa”.

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