Il neo governo socialdemocratico ha impresso una svolta a questioni di politica estera che tenevano il Paese in stallo fin dall’indipendenza. Prima tra tutte, le relazioni complicate con gli Stati confinanti, dalla Grecia alla Bulgaria. E si avvicina così alla comunità euro-atlantica
Le questioni di “buon vicinato” animano le cronache della Macedonia fin dal periodo in cui questo piccolo fazzoletto di terra balcanica dichiarò la propria indipendenza dalla Jugoslavia nel settembre 1991. Incuneata in una terra di transito nel cuore della penisola balcanica, la Macedonia si è trovata presto a fare i conti con un composito patrimonio storico fatto di mescolanze comunitarie, religiose, linguistiche e nazionali. Una fucina di problemi di vario tipo, ancora attuali ai giorni nostri.
Dopo anni di stagnazione, talvolta involuzione, nelle relazioni diplomatiche con i paesi limitrofi, un’inversione di tendenza pare finalmente essersi verificata. Portabandiera di questo cambiamento, il governo socialdemocratico guidato dal primo ministro Zoran Zaev, ufficialmente in carica dal 17 maggio 2017.
Zaev ha ottenuto il mandato alla fine di un biennio di tumultuosa crisi politica causata da uno scandalo che nel 2015 ha coinvolto l’ex primo ministro Nikola Gruevski, leader del partito conservatore Vmro-Dpmne. Eletto nel 2006 e riconfermato nel 2008, Gruevski aveva creato negli anni un milieu politico pesantemente permeato da un arrembante nazionalismo slavo-macedone. Conseguenze naturali di una tale politica erano stati l’inasprimento delle relazioni con la numerosa minoranza albanese autoctona e con gli stati confinanti, Grecia, Bulgaria e Albania.
Il contenzioso con lo stato ellenico è da sempre il più pressante: una diatriba che si trascina da più di un quarto di secolo, che è costata il veto all’entrata della Macedonia nell’Unione Europea e nella Nato. La Grecia si è opposta fin dall’inizio all’utilizzo del nome “Repubblica di Macedonia” – iscritto nella costituzione – adottando invece (e imponendo agli altri stati) la sigla Fyrom, ossia Former Yugoslavian Republic of Macedonia. Atene sostiene che il nome “Macedonia” sia illegittimo, dal momento che sarebbe riferito ad un’area geografica storicamente molto più ampia dell’estensione attuale della repubblica post-jugoslava. Tra le ragioni del rifiuto, le presunte mire espansionistiche di Skopje nascoste dietro la scelta del nome “Macedonia” sulla regione della Grecia settentrionale, chiamata con lo stesso nome e avente per capoluogo la città di Salonicco.
Dopo anni di tentativi andati a vuoto, i socialdemocratici di Zaev hanno riaperto i dialoghi con gli omologhi greci, suscitando un’ondata di ottimismo anche nella diplomazia dell’Unione Europea. Il ministro degli esteri Nikola Dimitrov ha scelto proprio Atene per la sua prima visita all’estero nel giugno 2017, incontrandosi con la sua controparte greca Nikos Kotzias. Questa visita di cortesia sembra aver spianato la strada per i negoziati veri e propri, annunciati per l’inizio del 2018. Anche il rappresentante dell’Onu per la disputa tra Grecia e Macedonia, Matthew Nimetz, ha dichiarato il 12 dicembre che la questione “può e deve essere risolta” entro il 2018. Ancora non è chiaro se l’accordo implicherà un nuovo nome, o se verranno resuscitate proposte già avanzate in passato dai greci e incentrate sulla richiesta di un marcatore geografico, come Macedonia del Nord o Macedonia Superiore. Candidato membro Ue già dal lontano 2005, la Macedonia potrebbe finalmente veder sparire quel pesante veto che ancora la tiene fuori dall’alleanza euro-atlantica.
Meno chiacchierate ma altrettanto complesse le relazioni con la Bulgaria. Dal 2002, era stato infatti proposto un “Trattato di buon vicinato” tra i due Stati, mai andato a buon fine. Anche su questo fronte la questione riguarda in nuce due visioni contrapposte della “storia comune”: i bulgari non riconoscono la lingua e l’identità nazionale macedoni come separate da quelle bulgare, mentre i macedoni risalgono fino a Alessandro Magno per giustificare la propria unicità nazionale. Sotto Gruevski, fu realizzato l’ambizioso progetto Skopje 2014, che riempì il centro della capitale di statue del glorioso condottiero greco-macedone allievo di Aristotele.
La firma dell’accordo avvenuta a Skopje il 1 agosto ha quindi un valore storico. Ammorbidisce le relazioni tra i due Paesi e impegna ambo le parti a passi avanti importanti: Skopje riconosce di fatto l’esistenza di una “storia comune” e rinuncia al riconoscimento di una minoranza etnica macedone in Bulgaria, al contempo Sofia si dichiara disponibile ad accompagnare i vicini verso l’adesione all’Ue e alla Nato.
Novità, infine, anche sul lato occidentale dei confini: il 15 dicembre il primo ministro macedone ha incontrato l’omologo albanese Edi Rama nella città di Pogradec, per procedere alla firma di svariati accordi. Tra le misure siglate, la creazione di un forum economico bilaterale, la pianificazione di incontri regolari tra i ministri degli esteri, una partnership culturale e un piano di miglioramento infrastrutturale che prevede la costruzione di un’autostrada tra Tirana e la frontiera macedone. Zaev ha poi incontrato la comunità macedone che vive nel villaggio albanese di Pustec, sulle sponde del Lago Prespa, come ulteriore segno simbolico di distensione tra i due Paesi.
Probabilmente è ancora troppo presto per dare per risolte tutte le questioni spinose, negli anni sospese o mal gestite, che hanno coinvolto il piccolo stato balcanico dalla sua indipendenza ad oggi. Il governo socialdemocratico di Zaev ha però, in sette mesi di vita, impostato un visibile cambio di rotta nei “rapporti di buon vicinato” rispetto ai dieci anni dell’era Gruevski. Più che dall’ideologia, questa evoluzione sembra dettata dalla realpolitik: Skopje punta su Nato e Ue per sviluppare la propria economia e aumentare la propria rilevanza a livello internazionale.
Il neo governo socialdemocratico ha impresso una svolta a questioni di politica estera che tenevano il Paese in stallo fin dall’indipendenza. Prima tra tutte, le relazioni complicate con gli Stati confinanti, dalla Grecia alla Bulgaria. E si avvicina così alla comunità euro-atlantica