«Ti giuro che nessuno ti sposerà dopo di me». Dopo la promessa, con una calma lucida, ha afferrato il rasoio e le ha sfregiato il viso, le mani, il petto – scrive la stampa locale. Lei voleva separarsi perché non era felice ma lui non voleva, e così per impedirle di ricostruirsi una vita in futuro, l’ha deturpata a vita.

La storia di Khawla, una giovane marocchina di Marrakech appena maggiorenne, è la storia di molte donne sparse in ogni angolo del mondo, sulla sponda sud del Mediterraneo, in molti paesi asiatici e anche nel nostro democratico Occidente.
A sedici anni Khawla fu stuprata. L’ombra del disonore e della vergogna l’avrebbe macchiata per sempre e così la famiglia, “per salvare la faccia”, le impose di sposare l’aggressore. «Credevamo di fare la cosa più giusta per lei e per il suo futuro, altrimenti sarebbe rimasta da sola» hanno confessato ingenuamente i genitori, ora pentiti, alla stampa locale. Se non l’avesse sposato, l’uomo sarebbe stato condannato a cinque anni di carcere.
La materia delle aggressioni sessuali in Marocco è disciplinata dall’articolo 475 del codice penale che consta di due commi: il primo prescrive una pena di cinque anni per gli stupri; il secondo esentava dal carcere chi sposava la donna violentata.
Parliamo al passato perché nel gennaio di quest’anno, dopo due anni di dibattiti e di pressioni da parte della società civile e delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, il secondo comma dell’articolo in questione è stato abrogato e adesso in Marocco chiunque stupri una donna non ha più scorciatoie per sfuggire alla legge.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha portato alla cancellazione di una norma ben radicata e tutto sommato tollerata dalla società marocchina fu la storia di Amina Filali, una ragazza di sedici anni che nel marzo 2012 si suicidò ingerendo del veleno per topi pur di non sposare Mustafa Sallak, l’uomo che un anno prima l’aveva violentata.
La vicenda di Amina fece piombare il Marocco al centro dell’attenzione internazionale, mentre tutt’intorno sibilavano i venti delle rivoluzioni arabe. Attivisti, civili, politici, furono in tanti a iniziare a chiedere la cancellazione del secondo comma dell’articolo 475 anche se poi alla resa dei conti nella consultazione di gennaio 2014 hanno votato solo sessanta parlamentari, un sesto del totale, e hanno optato per l’abrogazione.
Ma ritorniamo alla storia di Khawla perché riserva un finale a sorpresa. Nonostante il sostegno della famiglia e delle organizzazioni internazionali, qualcuna disponibile a sostenerla nelle pratiche di separazione, qualcun altra disposta a finanziare l’intervento di chirurgia ricostruttiva e plastica a cui dovrà sottoporsi, Khawla ha deciso di perdonare il marito: «Lo amo ancora e voglio stare con lui», ha raccontato a una radio locale la ragazza. E quando le hanno chiesto come avrebbe fatto a perdonarlo ancora una volta, Khawla lo ha giustificato: «Non era in sé, era arrabbiato e istigato dalle famiglie. Inoltre era sotto l’effetto di sostanze stupefacenti». Anzi, ha minacciato di suicidarsi se non lo rilasceranno presto dal carcere.
Dopo l’abrogazione della parte più controversa dell’articolo 475, oggi le organizzazioni per i diritti in Marocco si aspettano la riforma di altre due leggi: una che punisca in maniera chiara e inequivocabile la violenza contro le donne e un’altra che metta fine ai matrimoni precoci. Ogni anno infatti in Marocco molte ragazze sotto i quindici anni riescono a sposarsi grazie ad alcune scorciatoie previste dall’articolo 20 del Codice della famiglia (Mudawana) che autorizza i giudici a consentire espressamente il matrimonio precoce previo esame medico e sociale.
«Ti giuro che nessuno ti sposerà dopo di me». Dopo la promessa, con una calma lucida, ha afferrato il rasoio e le ha sfregiato il viso, le mani, il petto – scrive la stampa locale. Lei voleva separarsi perché non era felice ma lui non voleva, e così per impedirle di ricostruirsi una vita in futuro, l’ha deturpata a vita.