Medio Oriente: cento anni fa la spartizione
Oggi quei confini, segnati un tempo dagli interessi delle grandi potenze, sembrano destinati a scomparire a seguito di sconvolgimenti rapidi e non inattesi.
Oggi quei confini, segnati un tempo dagli interessi delle grandi potenze, sembrano destinati a scomparire a seguito di sconvolgimenti rapidi e non inattesi.
Un secolo fa, mentre il mondo era sconvolto dalla Grande guerra, Francia e Gran Bretagna stipulavano in segreto l’accordo “Asia minor Agreement”. Un documento che sarebbe diventato famoso come “Accordo Sykes-Picot”, dal nome dei due diplomatici che lo stilarono. Il patto stabiliva come al termine del conflitto le grandi potenze vincitrici, con il tacito accordo della Russia prerivoluzionaria, si sarebbero divise il Medio Oriente liberato dall’Impero Ottomano.
I confini stabiliti dai due diplomatici nel maggio del 1916 hanno segnato profondamente la storia della Regione Mediorientale per tutto il secolo a venire.
“Oggi stiamo assistendo alla dissoluzione di quel trattato – dice Anya Hamedeye, ricercatrice dell’Università Libanese – quelle frontiere disegnate artificialmente si stanno sciogliendo nel sangue. Le responsabilità di quanto sta avvenendo in Medio Oriente sono diffuse e complesse, dall’incapacità delle nostre classi dirigenti, agli interessi incrociati delle potenze mondiali, ma credo che la radice prima dei nostri mali sia in quella spartizione territoriale fatta a tavolino senza considerare le appartenenze religiose, etniche e culturali delle popolazioni.”
L’inglese Mark Sykes e il francese François Georges-Picot avevano ricevuto l’incarico di definire le nuove aree d’influenza dei rispettivi imperi coloniali, certi della vittoria al termine del conflitto.
“La loro mappa per la spartizione – dice ancora Hamedeye – con alcune piccole modifiche apportate nella Conferenza di Pace di Parigi del 1919, era stata disegnata con noncuranza e disinvoltura, per usare degli eufemismi. Non teneva in nessuna considerazione la complessità dei territori e la cultura tribale, ignorava le identità etniche di curdi e arabi e trascurava le divisioni teologiche tra sunniti e sciiti.”
La spartizione dell’impero ottomano disegnata un secolo fa è sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale, alla Guerra Fredda e alla sua fine. I confini tracciati da Sykes e Picot non avevano subito fino ad ora modifiche sostanziali, a parte la nascita di Israele. Uno status quo difeso dalle due vecchie potenze coloniali, che hanno continuato a influenzare la storia della Regione per la difesa dei loro interessi.
Un secolo dopo assistiamo al fallimento di quegli stati nazionali, mai diventati espressione dell’unità di un popolo, sotto la pressione dei gruppi jihadisti transnazionali che vogliono promuovere un nuovo ordine politico.
Due le tappe fondamentali del crollo di questo equilibrio, che vedono ancora una volta il ruolo di protagonista affidato a paesi esterni alla Regione. Nel 2003 l’intervento statunitense in Iraq e nel 2011 il sostegno occidentale a quella che, troppo facilmente, era stata definita la primavera araba, soprattutto in Siria e Libia. Improvvisamente governi e regimi ,che a lungo avevano contato sull’appoggio delle potenze mondiali, sono collassati lasciando ampio spazio a che è stato capace di rinfocolare conflitti etnici e religiosi mai sopiti.
Oggi sembra che sia ISIS, con il suo regno sunnita tra Siria e Iraq, a disegnare la nuova geografia del Medio Oriente.
“La proclamazione del Califfato da parte di Isis e la sua espansione hanno sepolto definitivamente l’Accordo Sykes–Picot.” Afferma Anya Hamedeye. “Anche se lo Stato Islamico ha accelerato questo processo non è stato il suo emergere a provocare il crollo delle frontiere. Ritengo che le responsabilità maggiori siano delle autorità degli Stati della regione. In Siria, in Iraq, ma anche in Libano e Yemen la mancanza di controllo da parte dell’autorità centrale ha lasciato ampio spazio alle forze locali, che si riuniscono intorno a identità religiose, etniche e tribali. Questo senza dimenticare gli interessi incrociati delle superpotenze mondiali e, quasi in filigrana, lo scontro per il predominio regionale tra l’Iran e l’Arabia Saudita. Lo sconvolgimento attuale sembra portare direttamente al sorgere di soggetti statali su base confessionale.”
Nel 2014 la spettacolare avanzata dello Stato Islamico ha frantumato l‘architettura geopolitica regionale, e con i vecchi confini postcoloniali sono anche collassate le ideologie, le reti di alleanze e le strutture statali che li tenevano in piedi. La situazione in Iraq e in Siria, e il loro futuro più probabile, è abbastanza emblematica di quello che sta avvenendo.
In Iraq, anche se lo Stato Islamico ha perso ampie porzioni di territorio, sarà estremamente difficile tornare a uno stato nazionale. La configurazione più probabile nel futuro del Paese sarà quella di una federazione di tre province confessionali. Sunnita, Sciita e Curda.
Per quanto riguarda la Siria, al di là delle fragili speranze di pace, l’integrità territoriale sembra ormai una chimera. Il Paese è diviso tra il governo di Assad, Isis, Fronte al-Nusra e curdi.
A meno di radicali mutamenti dello scenario in Medio Oriente si va delineando il sorgere di tre stati su base confessionale: Sunnistan, Sciistan e Curdistan. Una nuova geografia politica che trova il gradimento delle potenze regionali e di Russia e Cina.
Arabia Saudita e Iran potrebbero alla fine trovare un equilibrio nei loro rapporti grazie alla delimitazione delle rispettive aree di influenza. Israele si sentirebbe molto più al sicuro con la scomparsa di nemici storici come la Siria e con un Iran impegnato a difendersi da una realtà sunnita consolidata. La Turchia troverebbe nel nuovo Sunnistan un alleato per contrastare l’espansionismo dell’Iran.
Russia e Cina avrebbero nello Sciistan un alleato forte e transnazionale, capace anche di controllare significative rotte del petrolio.
Fuori da questi giochi sembra per ora rimanere la vecchia Europa, mentre gli Stati Uniti faticano con lo storico alleato israeliano e devono fare i conti con la scomoda politica di Erdogan.
Le identità locali e confessionali completamente ignorate all’epoca dalle cancellerie francesi e britanniche, a beneficio dei propri interessi geopolitici ed economici, sono riapparse con violenza, e non sarà facile ricostruire un equilibrio. Intanto sviluppo, giustizia sociale e democrazia si allontanano sempre di più da queste terre.
Oggi quei confini, segnati un tempo dagli interessi delle grandi potenze, sembrano destinati a scomparire a seguito di sconvolgimenti rapidi e non inattesi.
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