L’accordo di integrazione regionale tra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay festeggia 30 anni di vita: un progetto tanto ambizioso quanto frustrato
Pochi giorni fa il Mercosur(Mercado Común del Sur in spagnolo) ha festeggiato trent’anni di vita. L’accordo di integrazione regionale tra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, rappresenta 260 milioni di cittadini, un Pil di 2.2 trilioni di euro. Si tratta del più ambizioso progetto di integrazione per l’America Latina, caratterizzata da una complicatissima, quanto inefficace, spaghetti bowl di accordi commerciali.
All’inizio degli anni ’90 la regione rifiatava dopo i decenni bui delle dittature militari. La politica economica era guidata dal decalogo neoliberista del Washington Consensus, la globalizzazione mostrava i vantaggi del libero scambio e fiorivano le piattaforme di integrazione regionali. Fino a quel momento, i tentativi di integrazione dei mercati dei Paesi del Cono Sud americano (ALALC tra gli anni 1960 e 1980 e ALADI, nato nel 1980) erano naufragati, e il Mercosur – firmato nella capitale paraguaiana, Asuncion, il 26 marzo 1991 – puntava a superare i fallimenti del passato. Il progetto era ambizioso: una zona di libero commercio (libera circolazione di beni e servizi tra i Paesi membri) e un’unione doganale (una tariffa unica per le importazioni dai Paesi terzi).
Un progetto troppo ambizioso?
Molto, forse troppo a giudicare dal risultato. Anche perché il peso dei soci era molto eterogeneo, il Brasile da solo rappresentava il 77% della produzione, l’Argentina il 20%, Uruguay e Paraguay insieme appena il 3%.
Inoltre, con un occhio al mercato comune europeo, all’integrazione economica si sommò una clausola ‘valoriale’: il mantenimento dei sistemi democratici, per scacciare per sempre i fantasmi dei regimi dittatoriali. Le aspettative erano grandiose, l’applicazione molto più modesta: non arrivarono i grandi investimenti attesi, né si consolidarono le catene produttive regionali. Anche il commercio intra-regionale si ridusse col tempo, era il 25% del totale degli scambi nel 1997, oggi è appena il 14%. Certo, gli scambi con i Paesi terzi sono cresciuti esponenzialmente, ma si tratta soprattutto di esportazione di commodities verso la Cina, ritorna cioè la vecchia dipendenza dalle materie prime, da cui il Mercosur voleva affrancare i suoi soci.
L’anniversario è agrodolce anche sul piano delle regole: l’unione doganale è ferma, le tariffe interne, seppur ridotte, resistono. I tentativi di rilancio durante il ciclo dei Governi di sinistra (2005-2015), come l’allargamento al Venezuela nel 2012 (attualmente sospeso), si sono rilevati fallimentari. E anche con i successivi Governi di destra, con Temer in Brasile e Macri in Argentina, i passi in avanti sono stati minimi. Oggi, nessun Paese membro sembra pronto a cedere sovranità e (quasi) tutti mettono in discussione l’adesione all’accordo, senza però presentare un’alternativa. Anche a livello globale, il Mercosur sembra ormai l’ombra di un’idea, di un mondo multipolare costituito da macroregioni, oggi superata dal bipolarismo muscolare Cina-Usa.
L’accordo con l’Unione europea
La grande sfida per il Mercosur passa dalla ratifica dell’accordo commerciale con l’Unione europea. I Paesi sudamericani non sono entusiasti dell’accordo, firmato nel giugno 2019, dopo vent’anni di negoziazioni. L’opposizione si estende anche alle organizzazioni della società civile dei due blocchi, 450 delle quali hanno sottoscritto un appello “Stop UE-Mercosur” contro la ratifica del controverso trattato commerciale. Il quale “incentiverà ulteriormente la distruzione e il collasso della biodiversità in Amazzonia, attraverso l’aumento delle quote di importazione per carne bovina ed etanolo, perpetuando un modello estrattivo di agricoltura incarnato dal pascolo intensivo, dall’espansione delle aree recintate per l’allevamento e dalle monocolture dipendenti dalla chimica. Approvare il trattato darebbe un forte segnale politico: che gli orribili abusi dei diritti umani legati alle filiere coinvolte sono ritenuti accettabili”, scrivono le Ong.
Il testo, in attesa di ratifica da parte dei Paesi membri, è stato criticato anche dalla Francia, che punta il dito contro il Brasile per il mancato rispetto degli Accordi sul clima. È un paradosso, perché il gigante lusofono ha fatto della partecipazione al Mercosur la stella polare del suo inserimento internazionale sin dalla fine della dittatura, tanto con il Governo di centro-destra di Henrique Cardoso negli anni ’90, quanto con i Governi di sinistra di Lula e Roussef. Oggi con Bolsonaro la musica è diversa, la deforestazione dell’Amazzonia prosegue a ritmi incessanti, per colpa di un Governo inerme quando non complice, e ciò, secondo i critici, fornisce alla Francia un pretesto per non siglare l’accordo e difendere così i propri agricoltori dalla concorrenza dei prodotti sudamericani. Sulla firma dell’accordo si gioca il vivere o morire del Mercosur, il tentativo più ambizioso per l’integrazione regionale latino-americana e la partecipazione di quest’ultima nello scenario globale come attore di primo piano. Tentativo tanto ambizioso quanto frustrato.
L’accordo di integrazione regionale tra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay festeggia 30 anni di vita: un progetto tanto ambizioso quanto frustrato
Pochi giorni fa il Mercosur(Mercado Común del Sur in spagnolo) ha festeggiato trent’anni di vita. L’accordo di integrazione regionale tra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, rappresenta 260 milioni di cittadini, un Pil di 2.2 trilioni di euro. Si tratta del più ambizioso progetto di integrazione per l’America Latina, caratterizzata da una complicatissima, quanto inefficace, spaghetti bowl di accordi commerciali.
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