Il Messico si propone come leader continentale del fronte anti-Maduro. Peña Nieto punta sulla diplomazia del petrolio per erodere l’influenza di Caracas nei Caraibi. L’offensiva è iniziata in Giamaica, ma nel radar c’è anche Cuba. E la manovra geopolitica spiazza pure gli Usa
Dal 5 al 6 marzo il ministro degli Esteri del Messico Luis Videgaray ha compiuto una breve visita in due isole dei Caraibi, Saint Lucia e Giamaica. Il viaggio di lavoro era noto da tempo, ma fu Reuters a preannunciare, lo scorso mese, che il tour caraibico di Videgaray puntava ad erodere l’influenza venezuelana nella regione e a rafforzare quella messicana.
Tra Città del Messico e Caracas non corre ultimamente buon sangue. Il governo di Enrique Peña Nieto ha infatti assunto il ruolo – insolito, per un Paese fedele al principio di non ingerenza – di leader continentale del fronte anti-Nicolás Maduro. Una guida che tuttavia non si è sempre rivelata vittoriosa: all’assemblea dell’Organizzazione degli Stati americani del giugno scorso, ad esempio, il Messico non è riuscito a far approvare una risoluzione che denunciasse la crisi politica e umanitaria in Venezuela.
La linea messicana è fallita anche per la mancanza di un sostegno adeguato da parte di Washington ma soprattutto per l’opposizione di tanti Paesi della zona caraibica, legati a Caracas dall’alleanza petrolifera del Petrocaribe. Dalla parte del Messico si schierarono però Giamaica e Saint Lucia.
Diplomazia del petrolio con caratteristiche messicane
È proprio da queste due isole che riparte oggi la proiezione messicana nel mar dei Caraibi e la sfida al Venezuela madurista. Il Messico propone un’alleanza energetica con caratteristiche proprie, quasi all’opposto di quella bolivariana: mentre Caracas puntava sulle forniture di petrolio a prezzi preferenziali, Città del Messico vuole invece investire nelle riserve caraibiche di greggio. A cominciare da quelle giamaicane.
A Kingston, durante la conferenza stampa con la sua omologa Kamina Johnson Smith, Luis Videgaray ha detto che il suo Paese firmerà prossimamente un memorandum d’intesa per fornire supporto tecnologico a Petrojam, l’unica raffineria giamaicana e controllata congiuntamente dall’azienda statale Petróleos de Venezuela. «Tutto quello che faremo in Giamaica» ha aggiunto il cancelliere messicano «sarà un’esperienza istruttiva per quello che faremo insieme ad altri Paesi caraibici».
Videgaray ha voluto precisare che il Messico non potrà sostituire il programma Petrocaribe. «La nostra è un’economia basata sul mercato» ha detto «e qualsiasi cooperazione che intraprendiamo, qualsiasi business che promuoviamo è in linea con i princìpi del mercato».
L’accento sulle regole di mercato non comunica solamente la distanza che passa tra la nazione nordamericana – che ha liberalizzato il proprio settore energetico nel 2013 – e la Repubblica bolivariana ma nasconde anche la consapevolezza della crisi produttiva del settore petrolifero messicano: è iniziata nel 2004 e ha provocato di riflesso una contrazione delle esportazioni.
Stando così le cose, il Messico – pur rimanendo il 12° produttore di petrolio al mondo – non può permettersi di fare prezzi di favore e deve necessariamente ricercare una cooperazione energetica che passi per vie diverse dalla fornitura agevolata. La Giamaica costituisce un ottimo punto di partenza, anche simbolico: è stata una delle nazioni fondatrici del Petrocaribe ma non importa più greggio venezuelano, a differenza di quello messicano. A breve dal Messico potrebbe ricevere anche dei flussi di capitali che gli permetteranno – questa almeno è l’intenzione – di migliorare il know-how nell’ambito della produzione di idrocarburi.
L’esperimento giamaicano, orientato alla creazione di opportunità economiche e di nuovi mercati energetici, fungerà dunque da modello per la strategia messicana nei Caraibi. Anche a Saint Lucia, piccola isola nel Commonwealth britannico, Videgaray ha parlato di investimenti, di energie rinnovabili e di cambiamento climatico, un tema molto sentito nella regione. Ma soprattutto sembra aver annunciato un nuovo interesse del Messico nei confronti dei principali organismi multilaterali caraibici, come l’Organizzazione degli Stati dei Caraibi orientali e l’Associazione degli Stati caraibici, di cui fa parte.
Nel caso in cui queste intenzioni dovessero tradursi in realtà, il Messico metterebbe finalmente a frutto la propria, invidiabile, posizione geografica e la sua natura ibrida di nazione contemporaneamente nordamericana, latina e caraibica.
Tra gli Stati Uniti e Cuba
È importante sottolineare come la manovra geopolitica di Città del Messico sia indipendente dai desideri di Washington. Alcune frasi di Rex Tillerson sembrerebbero tuttavia suggerire il contrario. A inizio febbraio l’ex-segretario di Stato compì infatti un tour latinoamericano che si concluse proprio nella anglofona Giamaica, dove Tillerson annunciò che Stati Uniti, Canada e Messico stavano stilando un piano di aiuti per i Caraibi in modo da mitigare l’impatto delle sanzioni che Washington avrebbe intenzione di applicare alle esportazioni petrolifere del Venezuela.
Sanzioni a cui però Città del Messico si oppone, proprio perché teme ripercussioni negative per le economie caraibiche. La distanza tra la Casa Bianca e Los Pinos sulla questione venezuelana – comunque unite nella loro avversione per Maduro – si era già fatta sentire quando il Messico criticò sia la minaccia di un intervento militare americano a Caracas, sia l’invito di Tillerson ad un golpe interno.
In ultimo, Cuba. Mentre Donald Trump ha raffreddato i rapporti con l’isola, il Messico si sta invece muovendo per cercare di portarla dalla sua parte nella disputa contro Maduro e non solo. Lo scorso agosto il ministro degli Esteri Videgaray è stato a L’Avana per rafforzare i rapporti economici ma si vocifera che il Messico abbia addirittura intenzione di proporsi come fornitore petrolifero alternativo a Caracas. Un progetto apparentemente in contrasto con la già vista strategia generale per i Caraibi ma anche di complessa realizzazione sia per la condizione del settore petrolifero messicano, sia per gli storici legami tra la Repubblica cubana e quella bolivariana.
Un voltafaccia non sembra una possibilità realistica, tuttavia è impossibile negare l’esistenza di contatti sempre più fitti tra Cuba e Messico. Proprio queste mese una delegazione cubana dovrebbe andare in visita – mancano però ancora conferme ufficiali – in terra messicana per discutere della crisi in Venezuela. Qualcosa si muove, insomma.
@marcodellaguzzo
Il Messico si propone come leader continentale del fronte anti-Maduro. Peña Nieto punta sulla diplomazia del petrolio per erodere l’influenza di Caracas nei Caraibi. L’offensiva è iniziata in Giamaica, ma nel radar c’è anche Cuba. E la manovra geopolitica spiazza pure gli Usa