Narendra Modi ha appena concluso la sua prima visita ufficiale all’estero. In Bhutan, più o meno nel cortile di casa, dove la Cina sta iniziando a intensificare la propria influenza come già aveva fatto col vicino Nepal. Pochi giorni prima, in India, NaMo aveva iniziato a mettere le mani avanti, annunciando “decisioni toste” per rivitalizzare l’economia moribonda nazionale.
Sulla piccola parentesi bhutanese credo la stampa indiana ci stia mettendo sopra il carico da novanta, enfatizzando un incontro bilaterale a Thimpu che – al di là delle intese su collaborazione nell’idroelettrico, grandi opere da realizzarsi in Bhutan con l’aiuto indiano e una timida presa di posizione su un territorio che rientra nel radar geopolitico cinese (ma quale territorio non ci rientra, qui intorno?) – non è destinato a cambiare granché né a lasciare il segno nella politica estera indiana.
Con un po’ di malizia si può dire che tra le opzioni a portata di Modi, inaugurare il proprio mandato all’estero col Bhutan sia stata una mossa comprensibilissima e precauzionale: un paesino (800mila abitanti) dove si può andare a favor di telecamera e promettere “librerie digitali” per migliorare l’accesso alla cultura dei giovani bhutanesi, e tutti contenti. Quando sarà la volta di vicini più complicati (Bangladesh, Sri Lanka, Pakistan ma anche Myanmar), Modi non potrà cavarsela con così poco.
Mentre continua l’idillio con stampa ed elettorato, il nuovo primo ministro ha iniziato a preparare il campo emotivo per misure di natura economica che andranno a colpire, con ogni probabilità, la classe media. Venerdì scorso, addossando preventivamente la colpa alla gestione delle casse dello stato della precedente amministrazione, Modi ha dichiarato che nei prossimi due anni ci saranno da prendere “decisioni toste e misure forti per portare disciplina finanziaria e ristabilire la fiducia nel paese”. Di quali misure stia parlando, nessuna indicazione, ma è evidente che la distanza tra il Modi affabulatore di folle e il Modi “statista” potrebbe rompere la luna di miele con una parte dell’elettorato. Meglio portarsi avanti.
Modi, che ama parlare di sé in terza persona, ha continuato spiegando che “non si potrà aiutare il paese lodando Modi e il Bjp. Non c’è alcuna garanzia che le lodi a Modi possano migliorare la situazione. Dobbiamo prendere decisioni drastiche per migliorare la situazione finanziaria”.
Tra le misure papabili, secondo gli analisti, ci sarebbero un taglio ai sussidi statali per carburante, gas, fertilizzanti, aumento del prezzo dei biglietti del treno tra il 5 e il 10 per cento, ritocchi alle esenzioni fiscali per allargare la base dei contribuenti (pagare poco ma pagare in più persone). L’idea sarebbe scaricare dalle casse dello stato l’onere di calmierare prezzi di beni primari e far spendere di più chi se lo può permettere (la classe media), arginare il deficit di bilancio e controllare l’inflazione, per poi ripartire.
Ora, io ricordo molto bene il delirio (come da foto sopra) che due anni fa, quando il governo guidato da Manmohan Singh aveva proposto simili misure, attraversò tutto il paese: Bjp lancia in resta contro un governo “anti aam aadmi”, contro l’uomo comune, scioperi, manifestazioni, sbraitate in tv. Sarà interessante vedere adesso, con un’opposizione parlamentare inesistente, come reagirà l’elettorato a un prelievo indiretto dei propri soldi.
Narendra Modi ha appena concluso la sua prima visita ufficiale all’estero. In Bhutan, più o meno nel cortile di casa, dove la Cina sta iniziando a intensificare la propria influenza come già aveva fatto col vicino Nepal. Pochi giorni prima, in India, NaMo aveva iniziato a mettere le mani avanti, annunciando “decisioni toste” per rivitalizzare l’economia moribonda nazionale.