Si aggrava lo scontro tra il governo Orban e le istituzioni internazionali. Dopo gli Usa, anche l’Ungheria esce dal patto globale sulle migrazioni promosso dall’Onu. E ieri Bruxelles ha aperto una procedura d’infrazione contro Budapest, accusata di violare le leggi comunitarie
L’Ungheria ha deciso di schierarsi contro le Nazioni Unite sul tema dei migranti. Mercoledì 18 luglio è stato il ministro degli Esteri magiaro Péter Szijjártó ad annunciare in una conferenza stampa che Budapest non firmerà il documento Global compact for migration presentato cinque giorni prima presso l’Assemblea Generale dell’Onu a New York. L’accordo era stato raggiunto da 192 Paesi, Ungheria compresa, dopo un anno e mezzo di negoziazioni e si propone di proteggere i diritti umani dei migranti e di gestire in modo migliore i flussi migratori in tutto il mondo.
Szijjártó ha definito il documento «una minaccia per il mondo» e lo ritiene «completamente contrario al buon senso, agli interessi dell’Ungheria e ai suoi sforzi di reinstaurare sicurezza in Europa». Interpellato dall’agenzia di stampa magiara Mti e da Radio Kossuth, nei giorni scorsi il ministro degli Esteri di Budapest aveva inoltre contestato uno dei punti chiave del testo newyorkese, quello in cui si stabilisce come la migrazione sia “un diritto umano fondamentale”.
Una definizione che non piace a Szijjártó secondo cui: «la premessa di questo testo è che la migrazione sia un fenomeno positivo e inevitabile, mentre noi la consideriamo qualcosa di negativo e dalle implicazioni estremamente gravi per la sicurezza». Parole che rispecchiano la posizione dell’attuale governo ungherese, da anni contrario all’accoglimento di migranti e rifugiati sul proprio territorio. Una linea dura iniziata nel 2015 con la costruzione di barriere anti-immigrazione al confine con Serbia e Croazia, proseguita nel 2017 con una legge che ha limitato i diritti dei richiedenti asilo in Ungheria e che continua oggi, tanto lungo le frontiere quanto in parlamento.
Un accordo per 258 milioni di migranti nel mondo
Il premier magiaro Viktor Orbán sa di potere contare su un prezioso alleato nella propria battaglia contro le Nazioni Unite. Sino al 18 luglio gli Stati Uniti erano infatti l’unico Paese presso l’Assemblea Generale dell’Onu a non avere approvato la bozza del documento sulla migrazione. Già il 3 dicembre del 2017, infatti, Donald Trump aveva ritirato gli Usa dalle discussioni sul patto globale sui migranti alla vigilia del vertice tenutosi nella messicana Puerto Vallarta.
L’accordo raggiunto a New York verrà ufficialmente ratificato in una conferenza internazionale su rifugiati e migranti prevista a Marrakech, in Marocco, il 10 e l’11 dicembre di quest’anno e alla quale né gli Stati Uniti né l’Ungheria saranno presenti. Pur non avendo valore vincolante per i singoli Stati firmatari, il Global compact for migration è un documento che punta a cambiare il modo in cui considerare la questione delle migrazioni su scala internazionale. Un fenomeno che, stando all’ultimo rapporto dell’Onu, riguarda oggi 258 milioni di persone nel mondo, 61 dei quali nati in Europa. Secondo il rapporto, nel 2017 venti milioni di migranti hanno raggiunto l’Europa dall’Asia, nove milioni, invece, dall’Africa.
Il patto dal quale l’Ungheria è appena uscita, sulla scia degli Stati Uniti, è stato definito dalla rappresentante speciale dell’Onu per le migrazioni globali, Louise Arbour, un «piano per la speranza per i migranti, per le comunità in cui essi si trasferiscono e per le persone che si lasciano alle spalle». Arbour ritiene che adottare le linee guida dell’accordo «porterà sicurezza, ordine e progresso economico avvantaggiando tutti» arginando il fenomeno dello sfruttamento della mobilità umana. Alla vigilia del patto di New York, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Gutierres, aveva definito i migranti «un notevole strumento per la crescita» e sottolineato che «il traffico illegale di esseri umani è un’attività criminale, non la migrazione in sé».
La linea anti-immigrati di Budapest contro Ue e Onu
Rassicurazioni e precisazioni che non scalfiscono le granitiche convinzioni di Orbán in materia. Forte del consenso ottenuto nelle elezioni parlamentari dell’8 aprile e dei 3200 richiedenti asilo in Ungheria nel 2017 (appena 342 nel primo quadrimestre di quest’anno) a fronte dei 177mila del 2015, il premier ungherese insiste nella sua chiusura totale all’immigrazione. Una strategia reiterata e populista che, abbinata agli attacchi al magnate americano di origine magiara George Soros, ritenuto una sorta di quinta colonna favorevole all’arrivo di musulmani nel Paese, ha pagato durante l’ultima compagna elettorale. La coalizione di Orbán, Fidesz-Kdnp, si è assicurata il 49% dei voti e confermato una schiacciante maggioranza assoluta in parlamento con 133 seggi su 199.
A vittoria appena ottenuta, nel giugno di quest’anno, il governo magiaro ha approvato un pacchetto legislativo ribattezzato Stop Soros che ha introdotto il reato di “facilitazione dell’immigrazione illegale”. Di fatto, oggi chiunque – volontari di Ong, privati cittadini e avvocati inclusi – aiuti a vario titolo un migrante in Ungheria rischia un anno di detenzione. E qualsiasi finanziamento a favore di Ong che si occupino di migranti e richiedenti asilo sul suolo magiaro, come Amnesty International, è oggi tassato al 25% dallo Stato ungherese, sempre per effetto di Stop Soros.
Misure contestate in un rapporto della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa in quanto «criminalizzano organizzazioni non ricollegabili al fenomeno della migrazione illegale». A maggio di quest’anno anche l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) si era schierato contro Stop Soros invitando l’Ungheria a non approvarlo. Secondo l’Unhcr qualora il testo fosse passato: «avrebbe privato di aiuti e supporto decisivi persone costrette a lasciare le proprie case e ulteriormente infiammato la crescita di comportamenti xenofobi». Critico anche l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, che a Stop Soros approvato ha parlato di «rinnovato assalto del governo ungherese allo spazio civile» e secondo il quale la nuova legislazione «colpisce al cuore i valori di pluralismo, tolleranza e solidarietà su cui è fondata l’Ue».
La procedura d’infrazione avviata dalla Commissione Europea
Un nuovo e deciso attacco alle posizioni del governo ungherese sull’immigrazione è arrivato giovedì 19 luglio dalla Commissione Europea. Bruxelles ha accusato Budapest di avere violato la Direttiva 2003/109/EC sulla residenza a lungo termine e avviato una procedura d’infrazione. Il documento comunitario in questione impone che i cittadini di Paesi terzi ricevano un trattamento uguale a quello riservato ai cittadini Ue a condizione che siano legalmente residenti in uno Stato comunitario da almeno cinque anni.
A seguito dell’introduzione del pacchetto Stop Soros, l’Ungheria è accusata di non avere rispettato queste condizioni e ha ora due mesi di tempo per rispondere alla lettera ricevuta da Bruxelles e convincere la Commissione. In caso contrario, Budapest sarà portata dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Ue in Lussemburgo per rispondere della violazione delle leggi comunitarie su immigrazione, asilo e soggiorno. Le prime risposte del governo ungherese non sono distensive: «Siamo pronti per una battaglia legale e a discutere di questa procedura», ha dichiarato Szijjártó aggiugendo che: «al contrario di Bruxelles, ritieniamo che l’immigrazione sia una questione di sicurezza. Proteggere l’Ungheria e la sicurezza del popolo ungherese è la nostra priorità assoluta e difenderemo i nostri confini a meridionali».
Parole che fanno seguito al precedente rifiuto del ministro degli esteri ungherese di sottoscrivere i principi contenuti nel documento Global compact for migration promosso dalle Nazioni Unite e rappresentano un’ulteriore sfida lanciata alle istituzioni internazionali. La volontà del governo Orbán resta quella di affermare la propria inderogabile sovranità sull’immigrazione, non accettando indicazioni provenienti dall’Ue o dall’Onu in materia e arrogandosi il ruolo di difensore dell’Europa dallo straniero alle porte. Posizioni sempre più rigide e ostinate che trovano oggi un inatteso alleato Oltreoceano negli Stati Uniti di Donald Trump, non a caso un altro fautore di muri e fili spinati come risposta univoca a un tema complesso e transnazionale quale la migrazione.
@LorenzoBerardi
Si aggrava lo scontro tra il governo Orban e le istituzioni internazionali. Dopo gli Usa, anche l’Ungheria esce dal patto globale sulle migrazioni promosso dall’Onu. E ieri Bruxelles ha aperto una procedura d’infrazione contro Budapest, accusata di violare le leggi comunitarie