Dopo Usa e Ungheria, anche l’Austria annuncia il ritiro dal “Global Compact for Migration” dell’Onu, che sarò adottato prima della fine dell’anno. Intanto nel contesto del negoziato sulla Brexit torna d’attualità lo status di Gibilterra, riaprendo il confronto tra Spagna e Regno Unito
Nasce il Patto Onu sulle Migrazioni
Il Global Compact for Migration, un accordo volontario e non legalmente vincolante, firmato da 193 Paesi a settembre 2017, sarà adottato formalmente durante il summit dei capi di Stato e di governo previsto a Marrakech a metà dicembre.
L’accordo punta a delineare una governance dei movimenti migratori, che riguardano 258 milioni di persone, il 3,4% della popolazione mondiale, proponendo una visione globale, principi e obiettivi condivisi e un quadro d’azione che rafforzi la cooperazione internazionale.
Tra gli obiettivi del protocollo quello di facilitare il cambiamento di status dei migranti irregolari in regolari, limitare le detenzioni dei migranti, proibire la detenzione dei bambini.
Era inevitabile che su un tema così divisivo, ci fossero Stati dissidenti:
“La migrazione non è e non può essere un diritto fondamentale dell’uomo”. L’Austria segue l’esempio di Stati Uniti e Ungheria e annuncia il ritiro dal patto.
La rottura dell’Austria rischia di aprire reazioni a catena, già si parla di un ritiro della Polonia e della Croazia. Il governo di Vienna ha spiegato che “il patto limita la sovranità nazionale, perché non distingue tra migrazione economica e ricerca di protezione umanitaria”. La decisione austriaca ha provocato il plauso di vari movimenti di destra, non solo europei. Alice Weidel di Alternative fuer Deutschland, il partito di estrema destra tedesco ha invitato Berlino a seguire l’esempio austriaco. Secca la risposta del portavoce del governo Steffen Seibert: «trovare soluzioni globali per il fenomeno migratorio è il principio guida per ridurre l’immigrazione illegale».
Unione Europea – Brexit e Gibilterra. Si accende lo scontro in Spagna
La questione Gibilterra agita le acque spagnole. Il Ppe di Pablo Casado nei giorni scorsi ha duramente attaccato il governo di Pedro Sanchez, reo di non aver pareggiato i conti con Londra al tavolo della Brexit, a proposito di quella che Casado definisce “l’ultima colonia sul suolo europeo”. Due settimane fa Sanchez ha annunciato il raggiungimento dell’accordo con il Regno Unito sul territorio di oltremare che fu ceduto ai britannici nel 1713. Il protocollo, che verrà allegato all’eventuale accordo sulla Brexit fra Unione europea e Regno Unito, a parte alcune garanzie per i 12.000 transfrontalieri, lascia praticamente inalterato lo status quo. L’enclave britannica non è un membro effettivo dell’Unione europea, ma fa parte del trattato di adesione all’Unione europea del Regno Unito e gode di un regime doganale speciale. Gibilterra ha votato in massa per il Remain e contro la Brexit.
La scorsa settimana l’ex ministro degli Esteri spagnolo José Manuel García Margallo ha attaccato più volte il ministro degli Esteri in carica Josep Borrell : «C’è stata una resa assoluta e lo spreco di un’occasione che non avevamo avuto in 300 anni e probabilmente non avremo mai più». Già nei mesi successivi al referendum sulla Brexit, Margallo aveva proposto una condivisione della sovranità tra Spagna e Regno Unito. L’idea era stata già discussa da Tony Blair e José María Aznar nei primi anni 2000 e respinta in modo schiacciante dagli abitanti di Gibilterra in un referendum nel 2002.
Identità e nazionalismo sono tornati a essere temi incandescenti in Spagna e la situazione forse sta un po’ sfuggendo di mano.
@GiuScognamiglio
Dopo Usa e Ungheria, anche l’Austria annuncia il ritiro dal “Global Compact for Migration” dell’Onu, che sarò adottato prima della fine dell’anno. Intanto nel contesto del negoziato sulla Brexit torna d’attualità lo status di Gibilterra, riaprendo il confronto tra Spagna e Regno Unito