La vittoria dell’estrema destra a Buenos Aires apre molte incertezze sulla collocazione dell’Argentina nello scenario globale. Dal sostegno domestico allo stravagante programma ultra-liberista del nuovo presidente, alle relazioni con i propri vicini dell’America Latina.
L’eccentrico economista argentino Javier Milei ha sbancato al ballottaggio di domenica scorsa e sarà “il primo presidente libertario della storia”, come gli piace definirsi. A pochi giorni dall’insediamento, previsto per il 10 dicembre, il suo programma di governo è ancora poco chiaro. Nonostante abbia confermato le intenzioni espresse durante la campagna elettorale, anche su alcuni degli aspetti più controversi del decalogo libertario, il presidente eletto sembrerebbe intenzionato a temporeggiare invece sulle misure shock che lo hanno catapultato alla fama internazionale. Annunciata sin da subito l’intenzione di privatizzare la compagnia petrolifera statale e i canali di radio e televisione pubblici, ma l’adozione del dollaro come moneta di corso legale, la chiusura – il rogo, aveva detto qualche mese fa – della Banca Centrale e le privatizzazioni di scuole ed ospedali si vedranno più avanti negli anni. A partire dal prossimo mese, comunque, il bilancio dello stato dovrà chiudere in pari, anche a costo di tagliare la tredicesima dei dipendenti pubblici prevista proprio per la seconda metà di dicembre, ha sostenuto Milei.
Fedele alla massima “anarco-capitalista” secondo cui lo stato deve essere ridotto ai suoi minimi termini, verranno eliminati 12 dicasteri su 20, tra cui quelli della sanità, istruzione, lavoro, ambiente, donne e cultura. I suoi più stretti collaboratori premono intanto per la realizzazione di un referendum abrogativo sulla legge sull’aborto, legalizzato nel 2020. Insomma, una svolta a 180º gradi, anche se forse meno brusca di quanto previsto, che colloca l’Argentina su una strada mai intrapresa finora nella regione.
A garantire una certa moderazione dell’indirizzo politico di Milei, sarebbe l’ex presidente conservatore Mauricio Macri (2015-2019), alleatosi alla coalizione libertaria dopo la rovinosa sconfitta della sua candidata Patricia Bullrich alle generali di ottobre. Macri e i suoi potrebbero fornire al nuovo governo sostegno parlamentare (Milei conta solo su 38 deputati su 257, e 7 senatori su 72) e l’appoggio territoriale dei governatori di centrodestra, ma l’agenda che condividono è comunque destinata ad alimentare la conflittualità sociale. Sindacati e movimenti sono già sul piede di guerra.
A livello internazionale, l’avvento di un governo di questo stampo ha generato reazioni controverse. Non sono pochi gli osservatori che hanno lanciato l’allarme intorno alla tenuta democratica del paese di fronte allo sbarco di Milei e i propri alleati al potere. Durante la campagna elettorale, le critiche alle ricette presentate dal presidente eletto sono arrivate anche dai centri del potere economico mondiale: diversi membri del Fondo Monetario Internazionale, con cui l’Argentina mantiene un debito da 45 miliardi di dollari, hanno lanciato diverse avvertenze intorno al piano di dollarizzazione dell’economia di Milei. Anche la Banca Mondiale ha parlato di “distorsioni e problemi” creati dal piano economico proposto dalla destra argentina. L’Economist ha addirittura sostenuto che “le sue politiche sono mal pensate. Lungi dal costruire consenso, dovrebbe lottare per governare. E se frustrato, alcuni argentini si preoccupano, potrebbe anche diventare autoritario”.
Subito dopo l’elezione di domenica il governo cinese ha lanciato un’avvertenza anche in merito alle minacce di Milei di “tagliare le relazioni coi paesi comunisti”. La portavoce del Ministero degli Esteri Mao Ning, dopo essersi congratulata col nuovo presidente argentino, ha assicurato che “sarebbe un grande errore” un allontanamento tra Buenos Aires e Pechino. La Cina è oggi il secondo partner commerciale dell’Argentina. Ed è grazie agli Swap di moneta che il governo di Xi Jinping ha concesso al suo omologo argentino Alberto Fernandez negli ultimi anni, che il paese ha potuto compiere il calendario di scadenze del debito con FMI. Un raffreddamento della relazione potrebbe avere ricadute molto pesanti sulla stabilità argentina. Scartato inoltre, seppur non ancora in modo ufficiale, l’invito esteso dai cinque membri del BRICS a integrare il gruppo a partire dal 1º gennaio.
Anche in America Latina la situazione del nuovo governo è piuttosto incerta. La relazione col Brasile, storico partner diplomatico e commerciale del paese, si è incrinata ancor prima dell’assunzione del nuovo presidente. L’ex presidente Jair Bolsonaro è stato invitato alla cerimonia di assunzione di Milei ancor prima di Lula da Silva, che prima del ballottaggio si è apertamente espresso a favore del candidato peronista Sergio Massa, e ha già annunciato che il 10 dicembre non sarà a Buenos Aires.
Uno smacco non da poco, a cui si aggiunge un altro cortocircuito tra i due giganti del Cono Sud: da sempre il primo paese di destinazione del presidente eletto in Argentina è il Brasile, e viceversa, e Milei sarà probabilmente il secondo a rompere questa tradizionale dimostrazione di fraternità dopo Jair Bolsonaro.
Gli alleati strategici del governo libertario saranno gli Usa e Israele, ed è proprio in quei paesi che vuole recarsi per primi il presidente eletto. Se Tel Aviv ha già invitato Milei a discutere la sua proposta di trasferimento dell’Ambasciata argentina a Gerusalemme, Washington ha mostrato maggior cautela. Biden non andrà a Buenos Aires per l’insediamento del nuovo governo, e le critiche che in passato Milei ha riservato all’establishment del Partito Democratico risuonano ancora nella relazione con la Casa Bianca, che avrebbe preferito chiaramente la vittoria di un assiduo ospite dell’ambasciata Usa in Argentina come Sergio Massa.
Anche col Messico di Lopez Obrador, che ha definito Milei apertamente “fascista” in diverse occasioni, la relazione sembra destinata ad essere difficile. Il presidente messicano ha definito “un autogol” l’elezione del leader dell’estrema destra in Argentina.
Simili anche le parole di Gustavo Petro, il presidente della Colombia: “Ha vinto l’estrema destra in Argentina; è la decisione della sua società. Triste per l’America Latina”, ha pubblicato, una volta conosciuti i risultati di domenica.
Il probabile isolamento internazionale di Milei, assieme all’influenza che può esercitare l’ex presidente Macri sul suo governo, potrebbero spingere il nuovo presidente argentino a moderare le sue iniziative durante i primi mesi al potere, specialmente sul piano delle relazioni diplomatiche. L’opposizione sociale alle misure drastiche che, in ogni caso, sembra deciso a prendere sin dall’inizio a livello locale, sarà comunque forte, conferendo ulteriore instabilità ad un panorama già fragile nel paese. L’inserimento internazionale risulterebbe dunque chiave in questo senso, ma a poche settimane dall’insediamento, esistono pochi indizi sull’indirizzo del nuovo governo.
L’eccentrico economista argentino Javier Milei ha sbancato al ballottaggio di domenica scorsa e sarà “il primo presidente libertario della storia”, come gli piace definirsi. A pochi giorni dall’insediamento, previsto per il 10 dicembre, il suo programma di governo è ancora poco chiaro. Nonostante abbia confermato le intenzioni espresse durante la campagna elettorale, anche su alcuni degli aspetti più controversi del decalogo libertario, il presidente eletto sembrerebbe intenzionato a temporeggiare invece sulle misure shock che lo hanno catapultato alla fama internazionale. Annunciata sin da subito l’intenzione di privatizzare la compagnia petrolifera statale e i canali di radio e televisione pubblici, ma l’adozione del dollaro come moneta di corso legale, la chiusura – il rogo, aveva detto qualche mese fa – della Banca Centrale e le privatizzazioni di scuole ed ospedali si vedranno più avanti negli anni. A partire dal prossimo mese, comunque, il bilancio dello stato dovrà chiudere in pari, anche a costo di tagliare la tredicesima dei dipendenti pubblici prevista proprio per la seconda metà di dicembre, ha sostenuto Milei.
Fedele alla massima “anarco-capitalista” secondo cui lo stato deve essere ridotto ai suoi minimi termini, verranno eliminati 12 dicasteri su 20, tra cui quelli della sanità, istruzione, lavoro, ambiente, donne e cultura. I suoi più stretti collaboratori premono intanto per la realizzazione di un referendum abrogativo sulla legge sull’aborto, legalizzato nel 2020. Insomma, una svolta a 180º gradi, anche se forse meno brusca di quanto previsto, che colloca l’Argentina su una strada mai intrapresa finora nella regione.