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L’incognita Milei e il futuro dell’Argentina “libertaria”


La vittoria dell'estrema destra a Buenos Aires apre molte incertezze sulla collocazione dell'Argentina nello scenario globale. Dal sostegno domestico allo stravagante programma ultra-liberista del nuovo presidente, alle relazioni con i propri vicini dell'America Latina.

L’eccentrico economista argentino Javier Milei ha sbancato al ballottaggio di domenica scorsa e sarà “il primo presidente libertario della storia”, come gli piace definirsi. A pochi giorni dall’insediamento, previsto per il 10 dicembre, il suo programma di governo è ancora poco chiaro. Nonostante abbia confermato le intenzioni espresse durante la campagna elettorale, anche su alcuni degli aspetti più controversi del decalogo libertario, il presidente eletto sembrerebbe intenzionato a temporeggiare invece sulle misure shock che lo hanno catapultato alla fama internazionale. Annunciata sin da subito l’intenzione di privatizzare la compagnia petrolifera statale e i canali di radio e televisione pubblici, ma l’adozione del dollaro come moneta di corso legale, la chiusura – il rogo, aveva detto qualche mese fa – della Banca Centrale e le privatizzazioni di scuole ed ospedali si vedranno più avanti negli anni. A partire dal prossimo mese, comunque, il bilancio dello stato dovrà chiudere in pari, anche a costo di tagliare la tredicesima dei dipendenti pubblici prevista proprio per la seconda metà di dicembre, ha sostenuto Milei.

Fedele alla massima “anarco-capitalista” secondo cui lo stato deve essere ridotto ai suoi minimi termini, verranno eliminati 12 dicasteri su 20, tra cui quelli della sanità, istruzione, lavoro, ambiente, donne e cultura. I suoi più stretti collaboratori premono intanto per la realizzazione di un referendum abrogativo sulla legge sull’aborto, legalizzato nel 2020. Insomma, una svolta a 180º gradi, anche se forse meno brusca di quanto previsto, che colloca l’Argentina su una strada mai intrapresa finora nella regione.

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