La missione italiana in Niger, tra narrazione e realtà
I grandi motori della politica internazionale sono sempre stati l’economia e la sicurezza. Per operare in questi campi a volte è servito l’esercizio del dominio, altre volte la ricerca del dialogo. I benefici prodotti da queste azioni non sempre sono stati diffusi. Spesso sono rimasti concentrati in pochi Paesi. Dialogo, dominio, interessi nazionali, interessi diffusi: tutte queste cose spesso si intrecciano.
È il caso del Niger e della politica internazionale di cui è destinatario. Una storia da raccontare. Una storia fatta di interessi economici e commerciali, di esigenze di sicurezza, di pulsioni di dominio, di ragioni umanitarie. Una storia alla quale partecipa il nostro Paese, in un ruolo che non è sempre da primo attore.
Il Niger
È grande due volte la Francia, è il Paese più esteso del Sahel, 1,270,000 kmq, in gran parte desertici con un sottosuolo ricco di uranio, diamanti, oro, gas naturale e petrolio. Nonostante questo è il più povero dell’Africa Occidentale e la sua popolazione, 18 milioni di individui, vive crisi alimentari cicliche dovute anche agli effetti dei cambiamenti climatici che qui incidono più che altrove.
Attualmente è divenuto il più importante snodo strategico dei traffici trans-sahariani. Se li contendono due tribù nomadi: i Toubou controllano il flusso attraverso i confini meridionali della Libia, mentre i Tuareg controllano il confine algerino. Tuareg e Toubousi muovono nel Sahara da generazioni, i territori occupati da queste etnie si estendono oltre i confini nazionali, il che significa che i membri delle tribù sono in grado di fornire i necessari collegamenti oltre qualsiasi frontiera.
Il Niger è inoltre sottoposto a una duplice pressione terroristica, quella esercitata da al-Qaida nel Maghreb Islamico e quella di BokoHaram, a sud sul confine con la Nigeria. Insomma, ci sono tutti gli elementi per rendere il luogo interessante e pericoloso. Ma anche istruttivo: le grandi e le piccole potenze si esercitano sul posto, a volte con disinvoltura, a volte con goffaggine.
L’impegno italiano
Roberta Pinotti, di fronte alle Commissioni Difesa ed Esteri di Camera e Senato lo scorso anno, ha disegnato la missione italiana in Niger come destinata all’addestramento di forze locali per il contrasto al terrorismo e alle reti di trafficanti. Il Governo l’ha approvata “urgentemente” il 17 gennaio scorso.
La missione si affianca al dispiegamento di truppe italiane in Libia, Tunisia, Marocco e Repubblica Centroafricana: costo totale oltre 83 milioni di euro per il 2018 (65 fra Niger e Libia). In Niger saranno inviate 470 unità suddivise tra truppe convenzionali di genio e fanteria leggera, unità specializzate nella minaccia chimica, batteriologica e radiologica, 130 mezzi terrestri, un numero non precisato di unità appartenenti all’arma dei Carabinieri (probabilmente distaccamenti di forze speciali e intelligence), due aerei ed equipaggiamenti logistici.
Piaccia o meno, il nostro Paese fa parte di una Comunità internazionale che impone degli obblighi ad ognuno dei suoi appartenenti. Va ricordato che in passato non c’è stata alcuna coalizione governativa che abbia derogato a tutto ciò. Non lo hanno fatto i governi presieduti da Berlusconi (Afghanistan, Iraq, Libia), né quello di Massimo D’Alema (Kosovo).
L’esercito italiano è attualmente impegnato con 7.600 uomini, 1.300 mezzi terrestri, 54 mezzi aerei e 13 navali in 31 di missioni attive in 21 Paesi, tra il Mar Mediterraneo e l’Oceano Indiano. Nel 2018 l’Italia spenderà a questo scopo 1,5 miliardi di euro. Numeri che appaiono rilevanti solo se non sono messi a confronto con l’impegno degli altri nostri partner che è straordinariamente più impegnativo per uomini e mezzi sul campo.
La sicurezza internazionale è un bene pubblico, ossia un bene il cui godimento non può essere impedito facilmente. Ne segue che spesso c’è uno squilibrio tra il contributo al finanziamento delle operazioni di sicurezza e il godimento del bene stesso. Quello squilibrio non è quasi mai senza conseguenze.
La missione in Niger e il traffico degli esseri umani
Nello specifico della missione italiana in Niger è evidente che gli intenti di quella vanno al di là dei confini di quel Paese. Agire in Niger potrebbe evitare all’Italia un prossimo dispiegamento di truppe nel Fezzan libico, un’area pericolosissima, in preda a fazioni tra loro nemiche. Diversamente da quanto accade in Libia, a Niamey, la capitale del Niger, per quanto debole, un governo c’è.
Non è tuttavia Niamey, ma Agadez (950 km più a nord) il principale snodo di transito dei movimenti migratori verso la Libia e il Mediterraneo. Mentre Madama (altri 1400 km più a nord) rappresenta l’ultima tappa prima del valico di frontiera con la Libia. Madama è un vecchio fortino francese di fianco al quale l’Armée sta costruendo una potente base militare per dare la caccia ai terroristi, ma sino ad ora non si è mai occupata dei flussi migratori.
Quando i migranti che risalgono dall’Africa Occidentale (Senegal, Guinea, Nigeria) arrivano alla stazione degli autobus di Agadez entrano a far parte di un fiorente mercato dei servizi di smistamento umano. Lo stesso accade per quelli provenienti dal Corno d’Africa: eritrei, sudanesi ed etiopi raggiungono l’Europa sulla rotta del Mediterraneo centrale.
La ramificazione dei traffici africani verso la Libia non può più essere descritta solamente come una serie di collaborazioni sporadiche stabilite lungo la pipe line dei migranti fra un gruppo e l’altro. Si tratta di una vera e propria struttura criminale complessa resa possibile dalla condizione semi-anarchica che domina in Libia, e si è consolidata con l’intervento di organizzazioni internazionali nigeriane e sudanesi, dedite al traffico dei migranti.
Sulla questione dei migranti, Francia e Italia sembrano aver trovato un’intesa ribadita lo scorso novembre nel vertice di Abidjan, in Costa d’Avorio, tra l’Unione Europea e l’Unione Africana. Reciproche sollecitazioni tra Italia e Francia sulla questione durano da almeno 7 anni da quando cioè nel 2011 la Francia ha schierato La Compagnie Republicaine de Securitè sul confine ferroviario di Mentone. Lentamente il focus del problema si è spostato dal confine italo-francese a Lampedusa, poi alle coste libiche e ora in Niger, verso la radice dei problemi che sono i Paesi di transito e quelli e di provenienza dei migranti. Un percorso ragionevole.
Il ruolo delle grandi potenze
Tutta da verificare resta invece la possibile coincidenza di interessi tra i diversi Paesi coinvolti nel continente africano, un continente in cui recitano un ruolo non precisato anche la superpotenza militare statunitense e quella cinese.
La nuova pressione esercitata innanzitutto dalla Cina sta spingendo l’Occidente a un rinnovato impegno militare in Africa. Uranio, petrolio, gas naturale, oro e diamanti sono di grande interesse per i cinesi così come per gli Stati Uniti e la Germania.
La Francia dal Sahel non si era mai mossa e sta ulteriormente rafforzando le sue posizioni. Ora schiera con l’operazione Barakane 4000 effettivi disposti tra Mauritania, Ciad, Mali, Niger e Burkina Faso. In quest’ultimo Paese lo scorso 3 marzo un attacco all’ Ambasciata francese da parte di Boko Haram è costato la vita a più di 30 persone. L’ Areva però continua a estrarre in Niger l’uranio che contribuisce per il 30% al fabbisogno energetico francese, mentre nella stessa zona la Cina ha recentemente ottenuto la sua prima concessione per lo sfruttamento della miniera d’uranio di Azelik.
Contemporaneamente l’operazione Usa battezzata Africom ha cominciato a mostrare i muscoli. Con una pista ad Agadez per i droni MQ-9 Raper: raggio d’azione 1.500 chilometri, esattamente quel che serve per sorvegliare i confini libici, beninesi, maliani e ciadiani. L’impegno militare americano in Niger (800 soldati circa) nel 2017 è già costato la vita a quattro soldati delle forze speciali (e a quattro nigerini), a seguito di un’imboscata avvenuta nella regione nord-occidentale di Tillabéri, poco lontano dal confine con il Mali.
A sorpresa i tedeschi, dopo il 1945 sempre restii a un impegno militare fuori dai loro confini, hanno schierato nel Sahel una forza offensiva composta da1000 effettivi. Una parte considerevole proprio in Niger, dove Berlino già ha in progetto la costruzione di un avamposto nei pressi della frontiera con il Mali, con l’invio di altri 850 soldati.
Le buone intenzioni e i rischi reali
Durante il primo forum di La Valletta del novembre 2014, EUTF for Africa (il Fondo Europeo per lo sviluppo dell’Africa, che oggi può contare su circa 2,8 miliardi di euro) ha deciso uno stanziamento a favore di Stati che si trovano nella maggior parte dei casi in Africa occidentale. Su stimolo del Governo italiano, Il Niger ha ricevuto 190 milioni di euro in aiuti allo sviluppo, condizionati alla collaborazione sul rimpatrio e il reinserimento dei migranti subsahariani. Niamey ha collaborato di buon grado fornendo un esempio che dovrebbe essere seguito da Paesi africani più riottosi a firme ed accordi.
Tuttavia il coacervo di interessi economici, sicurezza internazionale, esigenze umanitarie, volontà di potenza, non sembra quindi prospettare un quadro coerente e veramente rassicurante. La ricetta sulla carta sembra semplice: permettere a quel Paese, il Niger, di trarre vantaggio dalle risorse che possiede, entrando a pieno titolo nel sistema di scambi internazionali, portando in quel Paese tutto ciò di cui ha bisogno.
La relativa prosperità economica permetterebbe di ridurre i conflitti locali, le ragioni dell’esodo e le occasioni di sfruttamento. A questo scopo i fondi per lo sviluppo, il principio di condizionalità, gli aiuti umanitari, le collaborazioni tecniche, il controllo e la vigilanza delle ONG, la consapevolezza internazionale della centralità africana nei prossimi decenni non possono mancare e forse non sono mancati. Ma è certo che qualcosa manca ancora. Cosa sia è difficile dirlo.
Se mai esistesse, potrebbe il nostro Paese svolgere un ruolo virtuoso? Abbiamo osservato quanto sia relativamente piccolo il contributo del nostro Paese alle forze militari dispiegate sul continente africano. Abbiamo anche osservato che questo non può certo dare al nostro Paese un ruolo guida. I limiti alla spesa non gli possono certo conferire un ruolo significativo. Ma c’è un campo in cui i limiti di spesa possono avere un peso meno determinante, un campo spesso dimenticato, quello della collaborazione culturale. Forse quello che manca è proprio questo.
I grandi motori della politica internazionale sono sempre stati l’economia e la sicurezza. Per operare in questi campi a volte è servito l’esercizio del dominio, altre volte la ricerca del dialogo. I benefici prodotti da queste azioni non sempre sono stati diffusi. Spesso sono rimasti concentrati in pochi Paesi. Dialogo, dominio, interessi nazionali, interessi diffusi: tutte queste cose spesso si intrecciano.
È il caso del Niger e della politica internazionale di cui è destinatario. Una storia da raccontare. Una storia fatta di interessi economici e commerciali, di esigenze di sicurezza, di pulsioni di dominio, di ragioni umanitarie. Una storia alla quale partecipa il nostro Paese, in un ruolo che non è sempre da primo attore.
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