Notizia del giorno in apertura su quasi ogni homepage di media indiani: treno investe 35 pellegrini, la folla infuriata incendia 6 vagoni. Niente di nuovo o sconcertante, si chiama mob effect.
La dinamica dell’incidente è “tutta da chiarire”, ma chi ha frequentato anche sporadicamente le stazioni del sistema ferroviario indiano non faticherà ad immaginarsi la scena: decine di persone attraversano i binari per qualsiasi motivo (raggiungere a piedi la banchina mentre il treno è fermo in attesa che si liberi il binario; prendere una scorciatoia per non perdere la coincidenza; entrare nei vagoni prima che siano fermi, conquistando posti a sedere nelle carrozze di categoria general, senza prenotazione…), un treno in transito arriva a velocità sostenuta dopo aver avuto il permesso dal capostazione, non può rallentare o frenare bruscamente e rischiare di deragliare, un numero x di persone muore schiacciato.
Questa volta è successo in una stazione locale in Bihar e i morti accertati sono almeno 35. Ripeto, non è un caso: le agenzie di stampa citano dati ministeriali che indicano una media di 15mila morti all’anno per incidenti del genere, dovuti alla “mancanza di standard di sicurezza” nelle stazioni.
Se interessa poco indagare la natura dell’incidente, dovuto all’incoscienza dei suddetti pellegrini, la reazione della folla restituisce uno spaccato inquietante della vita indiana. Pare che i superstiti abbiano bloccato il treno, fatto scendere tutti i passeggeri – grazia a dio – e iniziato a farsi giustizia da soli sequestrando sei o sette funzionari delle Indian Railways, oltre a linciare il macchinista del treno (alcuni lo danno per morto, altri in condizioni critiche all’ospedale).
Le autorità, accorse sul luogo dell’incidente, sono state cacciate dalla folla impazzita che incolpava qualcuno (il macchinista? il capostazione? lo Stato?) di non aver fermato il treno. Nella furia, i pellegrini – che pare volessero raggiungere al più presto un tempio nei pressi di Dhamara, 200 km da Patna – hanno incendiato sei vagoni, saccheggiando sia il treno che la stazione, nel delirio di onnipotenza che in India come altrove legittima il popolo che si fa folla, finalmente libero dalle convenzioni della convivenza civile che di norma evitano che qualsiasi raduno si trasformi in carneficina.
I raduni religiosi sono gli eventi a rischio mob effect per eccellenza. Lo scorso febbraio al Maha Kumbh Mela si radunarono decine di milioni di fedeli hindu e, sempre in una stazione ferroviaria, morirono una trentina di persone schiacciate dalla folla che voleva raggiungere la banchina del treno. All’epoca ricordo interviste a fedeli superstiti che si chiedevano sconcertati come mai Dio avesse voluto punirli a quel modo, come se la tragedia avesse origini ultraterrene e ragioni imperscrutabili, solo accettabili.
Le reazioni delle autorità del Bihar sono lo specchio di un Paese dove la sospensione del diritto e del buon senso, per quanto incomprensibile all’occhio occidentale, rimane l’unico palliativo per sedare gli animi della folla, spegnere una miccia che specie in contesti religiosi può portare a deflagrazioni di rabbia e violenza letali (come i pogrom contro i musulmani del 2002 in Gujarat). Nitish Kumar, chief minister del Bihar, ha subito annunciato indagini puntigliose sull’accaduto e, soprattutto, un risarcimento di 200mila rupie per le famiglie degli investiti.
Perché il treno non si è fermato.
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