Alle 19 e 30 del 31 dicembre Narendra Modi ha tenuto un discorso di fine anno a reti unificate. Chi si attendeva un nuovo colpo di scena nella saga della demonetizzazione e chi, più ottimisticamente, sperava in un discorso “alto”, da statista, sono rimasti delusi da un Modi in modalità campagna elettorale e un messaggio alla nazione senza spazio per l’autocritica.
Nei giorni precedenti la fine dell’anno l’annuncio di un discorso a reti unificate del primo ministro Narendra Modi aveva diffuso nel paese un senso di preoccupazione per le ipotetiche novità relative alla demonetizzazione. D’altronde, l’ultima volta che Modi aveva parlato a reti unificate, l’86 per cento delle banconote in India aveva immediatamente perso ogni valore, dando l’inizio a 50 giorni di difficoltà gravi per la maggioranza della popolazione indiana.
Contro ogni aspettativa più pessimistica, Modi ha pronunciato un discorso in modalità «campagna elettorale», con un occhio alla prossima tornata di elezioni locali in Uttar Pradesh, che sarà giudicata dagli osservatori come il primo test politico post demonetizzazione. Nel suo discorso Modi ha insistito nella bontà della misura adottata l’8 novembre, lodando la pazienza e la «bontà» del popolo indiano unito in una «guerra interna» contro gli evasori fiscali, il terrorismo islamico o maoista, il traffico di esseri umani e di droga: tutti mali che «dipendono direttamente dai black money» e che ora, con la demonetizzazione, hanno ricevuto un «colpo fatale».
Evidentemente la narrazione imposta dal primo ministro continua a picchiare sullo scontro interno tra la maggioranza del paese «buona» contro la minoranza «cattiva» che, attraverso crimini fiscali, toglie a un governo «amico dei poveri» gli strumenti per aiutarli. Un quadretto idilliaco che però non passa l’esame del fact checking della stampa indiana.
Siddharth Varadarajan, su The Wire, ha compilato un’analisi impietosa di tutto il discorso, svelando i punti più grigi di quello che ritiene essere più un esercizio di storytelling propagandistico che un punto sui 50 giorni della demonetizzazione, mentre Nilanjana Bhowmick, sul National Herald, un giorno prima del discorso di Modi aveva evidenziato una serie di incongruenze gravi tra il racconto governativo della demonetizzazione e la realtà.
In particolare un dato allarmante che mina alla base il presunto obiettivo primario della demonetizzazione – pulire l’economia indiana dai black money, anche se qui si pensa che l’intera manovra volesse solo costringere chi dispone di più soldi a una transizione forzata nella cashless economy – è la quantità di soldi ritirati e «convalidati» dalle banche. Ordinando il ritiro di tutte le banconote da 500 e 1000 rupie, il governo indiano ha voluto filtrare la maggioranza del contante indiano attraverso gli istituti bancari, con l’obiettivo di scremare il contante «pulito» dal «nero». Alcune fonti interne rimaste anonime hanno dichiarato a Bloomberg che, al 3 dicembre 2016, l’82 per cento delle banconote ritirate fino a quel momento (su un totale di 15,3 trilioni di rupie) era risultato «pulito». Secondo le previsioni del governo, almeno 5 trilioni di rupie sarebbero dovute risultare «black money» (significa una banconota su tre di quelle ritirate, cioè il 33 per cento).
Se questo calcolo dovesse essere confermato, sarà difficile per l’amministrazione Modi continuare a difendere la bontà del proprio operato. La demonetizzazione, in questo caso, sarà stata fonte di ostacoli e problemi di accesso al credito di dimensioni sproporzionate rispetto ai, miserrimi, benefici immediati.
@majunteo