
Ve li ricordate gli squadroni ultrainduisti protettori delle mucche che scorrazzano nelle campagne indiane a caccia di infedeli da «punire» in nome della sacralità del bovino? Gente che pestava e torturava dalit e musulmani in un regime di sostanziale impunità? Ecco, la scorsa settimana sono finalmente entrati nel mirino del primo ministro Modi, che per la prima volta – mentre nel suo Gujarat i dalit hanno manifestato come mai nella storia recente – spende due parole contro i giustizieri hindu faidaté. Che, in gran parte, lo hanno votato.
È successo sabato scorso durante quel mezzo show all’americana chiamato «Townhall», tenutosi allo stadio Jawaharlal Nehru di New Delhi, in cui Narendra Modi dà l’impressione di tenere un dialogo aperto e senza censure col pubblico (ovviamente, come negli Usa, non è vero).
«Ho visto molte persone responsabili di attività anti-sociali di notte, e di giorno vestire gli abiti da “gau rakhshaks”» ha dichiarato Modi senza indicare con precisione a chi si riferisse, lasciando così palese il collegamento con la situazione esplosiva che sta vivendo il Gujarat, stato che lo stesso Modi ha governato per due mandati consecutivi prima di candidarsi a primo ministro federale.
Come scrivevamo qualche tempo fa, l’ennesimo episodio di violenza subìto dalla comunità dalit ad opera di gruppi ultrainduisti autodefinitisi «a protezione della mucca» ha spinto i dalit a proteste inedite nella storia recente. Un movimento che pare sia riuscito se non altro a mettere in imbarazzo i piani alti del Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito conservatore hindu legato a doppio filo con la costellazione di sigle dell’estremismo hindu attive nel paese. Le stesse sigle da cui derivano i gruppi di vigilantes à la gau rakhshak.
L’imbarazzo è stato tale da «costringere» alle dimissioni la chief minister del Gujarat Anandiben Patel, modiana di ferro che sostituì proprio NaMo alla guida del Gujarat nel 2014, già improvvidamente alla guida dello stato durante la protesta dei Patel dello scorso anno; il fallimento nella gestione sia dell’ordine pubblico sia del racconto mediatico delle due proteste ha di fatto segnato il destino di Patel, già sostituita da Vijay Rupani, sempre Bjp.
La dichiarazione di Modi, arrivata appunto pochi giorni dopo l’avvicendamento di cariche in Gujarat, ha interrotto un periodo di silenzio – classico e sempre imbarazzante, per gli osservatori indiani – del primo ministro rispetto a questioni decisamente scottanti come le violenze, sistematiche e sistematicamente impunite, di cui sono fatti oggetto le comunità dalit e musulmana nel paese. Mentre i detrattori di Modi lo accusano di aver parlato solo ora per tentare di recuperare l’elettorato dalit nello stato, rimane il fatto che il primo ministro, di solito abile a fa scorrere acqua sotto i ponti senza esporsi in prima persona quando la pentola a pressione sociale indiana sfiata, questa volta sia stato costretto a un intervento, seppur blando, contro una delle sue tante basi elettorali.
Un ultrainduismo al quale le ambizioni di «statista» di Modi, in smarcamento dalla tradizione ultrahindu dalla quale proviene, stanno decisamente strette.
@majunteo
Ve li ricordate gli squadroni ultrainduisti protettori delle mucche che scorrazzano nelle campagne indiane a caccia di infedeli da «punire» in nome della sacralità del bovino? Gente che pestava e torturava dalit e musulmani in un regime di sostanziale impunità? Ecco, la scorsa settimana sono finalmente entrati nel mirino del primo ministro Modi, che per la prima volta – mentre nel suo Gujarat i dalit hanno manifestato come mai nella storia recente – spende due parole contro i giustizieri hindu faidaté. Che, in gran parte, lo hanno votato.