Può un paese allearsi con i terroristi? Nella geopolitica il cuore e l’ideale lasciano, spesso, spazio ad interessi forse meno nobili, ma certamente più legati alle esigenze del quotidiano. Questo, per dire che il futuro e la stabilità di un territorio possono valere l’avvicinamento fra realtà tra loro agli antipodi, come Russia e talebani.
In “Mosca guarda Kabul con la lente tagika” abbiamo già parlato degli sforzi del Cremlino per contenere il traffico di droga sul confine afghano-tagiko. E, proprio in un’ottica di contenimento del flusso di stupefacenti, russi e talebani potrebbero seguire linee convergenti.
Anti droga
Nel 2000 l’Emirato Islamico dell’Afghanistan proibì la coltivazione dell’oppio; divieto decaduto due anni dopo: la guerra e l’occupazione americana di Kabul spinsero i talebani ad abbandonare i centri urbani, dandosi alla guerriglia e lasciando, di conseguenza, intere aree del paese al di fuori della loro autorità. Dal 2002, nelle campagne si riprende a coltivare e a produrre oppiacei, contribuendo così a far lievitare il volume d’affari del contrabbando stimato, secondo dati dell’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime), in circa mezzo miliardo di dollari.
Wilayat Khorasan
Una montagna di denaro che, inevitabilmente, attira criminali e terroristi. Come i miliziani del Wilayat Khorasan, ala afghana del Califfato Islamico, il cui nome richiama all’omonima provincia persiana che, anticamente, comprendeva un territorio molto vasto fra Pakistan, Iran e Tajikistan. Giunti in Afghanistan nel tardo 2015, i miliziani di al Baghdadi hanno annunciato di voler liberalizzare le coltivazioni di papavero. Chiara la manovra: accaparrarsi gli ingenti proventi dei traffici e conquistarsi il favore della gente. D’altronde, con un territorio povero e martoriato dalla guerra l’Afghanistan non è certo una nazione capace di offrire grandi opportunità, pertanto anche la droga, la sua lavorazione e il suo commercio sono potenziali forme di sostentamento. La reazione dei talebani ai proclami del Califfato non si è, però, fatta attendere: sei mesi fa, in un comunicato al vetriolo, i talebani pakistani hanno sottolineato che “nella cultural islamica il Khalifa (Califfo) comanda sull’intero mondo musulmano, mentre al Baghdadi controllo solo alcuni territori (…) un vero K., poi, sa amministrare la giustizia mentre lui uccide mujaheddeen innocenti solo perché appartengono ad altre fazioni”.
I rapporti fra i due gruppi, dunque, non sono dei migliori ed è in questo clima di tensione che potrebbe inserirsi l’attività diplomatica russa, svolta grazie all’ex agente del KGB e ambasciatore a Kabul Zamir Kabulov.
Infatti, malgrado il lancio dell’Offensiva di Primavera (aprile 2016), i talebani sono oggi una realtà frammentata e indebolita dalle operazioni dell’esercito afghano e dai droni statunitensi. I “figli” del mullah Omar, inoltre, mancano della compattezza e della copertura logistica e finanziaria dell’Isis. La guerra per il controllo dell’oppio, quindi, motiva la mano tesa di Mosca agli “studenti coranici”. Coerentemente all’impegno assunto in Tagikistan, il Cremlino cerca di tutelare la stabilità delle aree tagika ed afghana ricorrendo al sostegno di milizie locali come i talebani, interessati a loro volta ad assicurarsi il controllo delle province afghane che rischiano di cadere nelle mani dell’Isis. Interessi che convergono, superando le differenze storiche, culturali e religiose: difficile dire se e come si svilupperanno le relazione diplomatiche fra le due parti, più facile invece comprendere che in Afghanistan i mujaheddeen si preparano ad accogliere un nuovo “infedele”, il Wilayat Khorasan.
Può un paese allearsi con i terroristi? Nella geopolitica il cuore e l’ideale lasciano, spesso, spazio ad interessi forse meno nobili, ma certamente più legati alle esigenze del quotidiano. Questo, per dire che il futuro e la stabilità di un territorio possono valere l’avvicinamento fra realtà tra loro agli antipodi, come Russia e talebani.