La guerra in Afghanistan non è finita o, almeno, non lo è per la Russia. Sono trascorsi ventisette anni dal ritiro della 40^ Armata sovietica e dal cessate il fuoco, eppure l’attenzione di Mosca per Kabul non è mai calata. Perché?
Terrorismo
Dal 1992, anno della proclamazione della Repubblica Islamica d’Afghanistan, il paese è ricovero per una rete terroristica attiva nelle ex repubbliche della “cintura” meridionale dell’impero sovietico destabilizzando, di fatto, gli interessi politici e commerciali del Cremlino nello scacchiere centro asiatico. Le prime avvisaglie del pericolo sono i miliziani che combattono nella guerra civile tagika, alle quali si aggiune l’IMU, Movimento Islamico dell’Uzbekistan che dalla seconda metà degli Anni Novanta riceve il supporto dal regime dei Talebani.
La 201^
Con l’intento di arginare la potenziale estensione del pericolo terroristico, dalla fine della Guerra fredda il governo di Dushanbe ospita sul proprio territorio la 201^ Divisione motorizzata, unità dell’esercito russo che conta 7 mila uomini dislocati lungo 1400 km di confine tagiko-afghano. In base a recenti accordi, inoltre, il reparto potrebbe restare schierato fino al 2042. Una permanenza piuttosto lunga motivata, tuttavia, dalla scarsa capacità delle autorità tagike di controllare le attività illecite, dai gruppi armati ai narcos afghani.
Droga
Come ha avuto modo di ricordare il Direttore dell’ United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC) Yury Fedotov “il Tagikistan è la prima linea di difesa dalle droghe provenienti dall’Afghanistan”, aggiungendo che circa il 20% dell’eroina esportata nella Federazione sia di provenienza afghana. Una percentuale importante per un giro d’affari milionario, quest’ultimo facilitato dagli scarsi controlli sul confine e nel territorio tagiki.
UNODC
Secondo una relazione dell’UNODC, nel 2008 le autorità tagike (con interessamento e collaborazione di Russia e Onu) sono riuscite a confiscare circa sei milioni di chilogrammi di droga, dei quali un milione e mezzo di eroina. Stando ai dati dell’Organizzazione, la droga rappresenterebbe oggi una vera piaga per la ex repubblica sovietica: infatti, crescono non solo i consumatori ma anche coloro che si mettono a disposizione per diventare corrieri o addetti nei laboratori dove l’eroina viene sintetizzata. Lavorare per i narcos è un fenomeno, oltreché diffuso, anche duro da arginare: d’altronde, appare difficile che un paese il cui PIL è rappresentato per il 50% dalle rimesse dei tagiki emigrati riesca a fornire alternative, legali, a chi, per indigenza, accetta qualsiasi occupazione.
Nazione debole
Disoccupazione, immigrazione verso la Russia (sono circa un milione e mezzo i tagiki che vivono nella Federazione), scarsi controlli, sfiducia della popolazione per un governo dai tratti autoritari (il presidente della repubblica Emomali Rahmon è in carica da un ventennio) non sono elementi destabilizzanti per una nazione al centro di un crocevia terroristico e di traffico di stupefacenti. Mosca, quindi, guarda all’Afghanistan con la “lente tagika”: Dushanbe, infatti, è come un filtro che il Cremlino usa per bloccare le infiltrazioni criminali e jihadiste oltre i propri confini.
La guerra in Afghanistan non è finita o, almeno, non lo è per la Russia. Sono trascorsi ventisette anni dal ritiro della 40^ Armata sovietica e dal cessate il fuoco, eppure l’attenzione di Mosca per Kabul non è mai calata. Perché?
Dal 1992, anno della proclamazione della Repubblica Islamica d’Afghanistan, il paese è ricovero per una rete terroristica attiva nelle ex repubbliche della “cintura” meridionale dell’impero sovietico destabilizzando, di fatto, gli interessi politici e commerciali del Cremlino nello scacchiere centro asiatico. Le prime avvisaglie del pericolo sono i miliziani che combattono nella guerra civile tagika, alle quali si aggiune l’IMU, Movimento Islamico dell’Uzbekistan che dalla seconda metà degli Anni Novanta riceve il supporto dal regime dei Talebani.