Risorse naturali, rotte energetiche e commerciali fanno del Myanmar uno snodo strategico per Pechino. Che ha i suoi progetti più ambiziosi negli Stati segnati dall’offensiva militare del regime. E nel Rakhine un eventuale ritorno dei Rohingya potrebbe guastare i piani cinesi
La guerra nello Stato Kachin, a nord-est di Myanmar, prosegue. L’offensiva delle truppe governative non si ferma. Dal 2011 si contano più di 100mila sfollati, quasi 7mila solo negli ultimi tre mesi. La situazione non è migliore neanche per i 700mila Rohingya, la minoranza musulmana perseguitata dai militari di Naypidaw e dagli estremisti buddisti che nell’agosto scorso sono stati costretti a scappare nel vicino Bangladesh dallo Stato Rakhine, ad ovest del Paese. Nonostante sia stato firmato un accordo tra il governo birmano e l’Onu per il loro rientro e un memorandum d’intesa con il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), il rimpatrio sembra ancora lontano. E proprio in queste due zone si concentrano i maggiori interessi di Pechino nel Paese asiatico.
Per la Cina, Myanmar è strategica. Lo è sempre stata. Ma oggi, visto gli sviluppi degli ultimi anni e l’avvicinamento di Naypidaw all’Occidente, lo è ancora di più. Tante risorse naturali, centralità lungo una serie di rotte energetiche e commerciali (i due Paesi condividono un confine lungo 2185 chilometri), un potenziale di mercato altissimo e una manodopera a basso costo, fanno un mix perfetto a cui non ci si può sottrarre.
E anche se i cambiamenti politici ed economici di Myanmar hanno favorito un aumento della presenza degli Stati Uniti, Pechino punta a sviluppare tramite il Paese una nuova rotta commerciale alternativa allo Stretto di Malacca. Attraverso questo bacino d’acqua scorrono infatti i principali flussi commerciali da e per la Repubblica Popolare, incluso l’80 per cento del petrolio che viene importato. Il corridoio sino-birmano consentirebbe al Dragone di ridurre notevolmente la dipendenza da questo “collo di bottiglia”.
Uno dei progetti più importanti, in questo ambito, è il porto di Kyauk Phyu e il suo indotto di autostrade, gasdotti e oleodotti che collegano proprio lo Stato Rakhine direttamente alla città cinese di Kunming, nello Yunnan, creando di fatto un percorso alternativo al petrolio che arriva dal Medio Oriente. Secondo quanto riporta il quotidiano Irrawaddy, a fine maggio alcuni funzionari cinesi si sarebbero incontrati a porte chiuse con i loro colleghi birmani a Yangon per parlare di una serie di questioni, tra queste anche la crisi dei Rohingya. Nell’articolo si afferma che la Cina non vedrebbe di buon occhio il rimpatrio dei rifugiati attraverso una soluzione guidata dai governi occidentali, perché potrebbe concretamente minare i loro affari nella regione.
Un’altra zona strategicamente interessante per Pechino è proprio lo Stato Kachin. Qui doveva essere realizzata nel 2011 la diga Myitsone, sul fiume Irrawaddy. Un progetto da 3,6 miliardi di dollari, promosso in collaborazione tra il governo birmano e quello cinese, che avrebbe portato il 90 per cento dell’elettricità prodotta nella Repubblica Popolare. Ma avrebbe anche allagato seicento chilometri quadrati di foresta. Cosa che, ovviamente, poco importa a chi mette gli interessi prima di tutto. L’attuazione è poi stata bloccata, ma non annullata, nel 2011 dall’allora premier Thein Sein dopo le numerose proteste della popolazione locale. Ed è proprio in quel periodo che sono ripresi i combattimenti tra le truppe governative e il Kachin Independence Army (Kia), dopo 17 anni di cessate il fuoco, quando i guerriglieri etnici si sono rifiutati di abbandonare una postazione considerata determinante per la realizzazione della diga.
A metà giugno il Global Times ha pubblicato un articolo dove si sostiene che la Cina non ha perso le speranze per la costruzione del progetto Myitsone. “La centrale idroelettrica è una cooperazione commerciale concordata tra i due Paesi e la sua lunga sospensione rischia di far diminuire la fiducia degli investitori”, si legge nel pezzo. Che prosegue: “Il governo cinese sta cercando di trovare un modo pratico per riprendere il progetto sulla base di una collaborazione reciprocamente vantaggiosa”. E le operazioni militari governative nello Stato Kachin sono aumentate proprio in questi ultimi mesi.
@fabio_polese
Risorse naturali, rotte energetiche e commerciali fanno del Myanmar uno snodo strategico per Pechino. Che ha i suoi progetti più ambiziosi negli Stati segnati dall’offensiva militare del regime. E nel Rakhine un eventuale ritorno dei Rohingya potrebbe guastare i piani cinesi