Dalla frontiera tra Stati Uniti e Messico entrano ed escono ogni giorno beni e servizi per un miliardo e mezzo di dollari: frutta e verdura, mais, soia, automobili, macchinari e software di vario tipo. Merito di quell’Accordo di libero scambio che Donald Trump accusa però di aver fatto lievitare il deficit commerciale americano con il Messico, oggi una media potenza manifatturiera. Ma il Nafta ha provocato una crescita indesiderata anche a sud del Rio Grande: quella del girovita dei messicani.
Forse non tutti sanno che il Messico è uno dei Paesi con più obesi al mondo. Uno studio dell’Ocse lo posiziona addirittura al secondo posto, preceduto solamente dagli Stati Uniti: in Messico è obeso il 32,4% degli adulti, rispetto al 38,2% negli States. Un rapporto delle Nazioni Unite del 2017 afferma invece che in Messico il 74% delle donne e il 70% degli uomini con più di diciannove anni sono sovrappeso. Tredici milioni di messicani sono malati di diabete, che – con circa 80.000 decessi l’anno – è la prima causa di morte nel Paese.
È una situazione relativamente recente e che dipende da diversi fattori, ma il principale è senza dubbio l’“americanizzazione” della dieta messicana, indotta a sua volta dall’introduzione del libero commercio con gli Stati Uniti nel 1994. A venti anni di distanza da quella data, il consumo di bevande zuccherate tra i messicani risultava quasi triplicato, e non per caso: dall’epoca precedente al Nafta al 2012 gli investimenti statunitensi nelle aziende messicane che producono cibo e bibite sono passati da 2,3 a 10,2 miliardi di dollari. Oltre al granturco vero e proprio, oggi Washington esporta oltre frontiera tantissimo sciroppo di mais, un dolcificante ad alto contenuto di fruttosio che funge solitamente da sostituto dello zucchero nei cibi pronti: un commercio che attualmente vale sui 345 milioni di dollari l’anno, contro gli appena 5 di un quarto di secolo fa.
Grazie al Nafta, bibite gassate e alimenti confezionati sono diventati reperibili in praticamente qualsiasi zona del Messico, anche nei villaggi più remoti, a prezzi tra l’altro molto accessibili. Le bevande zuccherate, per fare un esempio, costano quanto l’acqua in bottiglia, se non addirittura meno: è un dato cruciale, considerando che un messicano su dieci non ha accesso all’acqua potabile in casa.
La rivoluzione del libero commercio ha letteralmente stravolto la tipica dieta messicana: nell’ultimo ventennio, scriveva il Guardian, il consumo di fagioli si è dimezzato, mentre quello di frutta e verdura è diminuito del 30%, rimpiazzate in buona parte da bibite dolcificate e cibi processati.
Questa trasformazione generale ha avuto un impatto piuttosto vistoso sulle comunità indigene, spesso povere e territorialmente isolate dal resto della popolazione. Passati da una dieta modesta, seppur qualitativa e salutare (fagioli, tortillas, verdure), ad una ricca di calorie e zuccheri ma carente di macronutrienti, molti nativi messicani si ritrovano oggi con livelli altissimi di glucosio nel sangue. Alcuni di loro hanno sviluppato una vera e propria dipendenza dalla Coca-Cola, sempre disponibile nei negozi di alimentari e più economica del latte.
Secondo uno studio del 2015 citato dal New York Times, i messicani acquistano ogni giorno bibite e cibi pronti per l’equivalente di 1928 calorie, 380 in più rispetto agli statunitensi e più di qualsiasi altro paese esaminato. Dopo l’introduzione della tassa sullo zucchero nel 2014, comunque, la situazione è leggermente migliorata e i consumi di bevande gassate sono diminuiti nei due anni successivi.
Il mutamento delle abitudini alimentari e la crescita dei casi di obesità si collegano alla crisi del modello agricolo tradizionale. La brusca interruzione del modello statalista (con i relativi sussidi) e il troppo rapido passaggio a quello liberista non hanno dato alle piccole imprese agricole il tempo necessario per adattarsi al cambiamento e sostenere la concorrenza con i prodotti statunitensi; le aziende del Messico settentrionale invece, più moderne e di dimensioni maggiori, riuscirono ad assorbire l’impatto.
Il Nafta ha favorito l’apertura in Messico di filiali di Walmart, McDonald’s, Starbucks o Burger King, e ha riempito i punti vendita di Oxxo (la più grande catena messicana di convenience stores) di snack e bibite americane. Ma nel contempo ha spinto al fallimento molte fattorie a conduzione familiare, forzando gli ex-contadini a migrare verso le zone urbane per cercare un impiego nelle fabbriche. Nelle città, la sedentarietà dei posti di lavoro e dello stile di vita hanno finito per combinarsi ad abitudini alimentari scorrette e iper-caloriche, creando un’emergenza obesità che – prevedono le Nazioni Unite – entro sessant’anni costerà al Messico 13 miliardi di dollari l’anno.
La bilancia commerciale, grazie al Nafta, penderà pure in favore del Messico. Ma è quella pesapersone a segnare cifre davvero preoccupanti.
@marcodellaguzzo