Ieri c’è stato un attentato terroristico in Chhattisgarh, uno degli stati a più alta influenza naxalita di tutta l’India. Sedici morti, di cui quindici soldati, e responsabili svaniti nel nulla. La cosa sorprendente, al pubblico occidentale, è che un episodio come questo fa fatica ad essere una “notizia” per più di mezza giornata.

Il fenomeno dei naxaliti è uno tra i più controversi e interessanti aspetti dell’India contemporanea. I naxaliti prendono il nome dal villaggio bengalese di Naxalbari, dove iniziarono l’offensiva rivoluzionaria nel 1967 staccandosi dal Communist Party of India e fondando l’ala maoista del partito, rifacendosi ad un ideale di stampo maoista progressivamente riadattato alle esigenze della contemporaneità.
Se il Mao degli albori voleva dare l’impulso rivoluzionario alla società cinese sollevando le masse contadine, l’ideologia naxalita si inserisce nel confronto tra le autorità amministrative e industriali (poi aggiornate alle multinazionali) e la popolazione rurale e tribali del cosiddetto “Corridoio Rosso”, le aree dove l’offensiva maoista è stata presente per lungo tempo in maniera preponderante: una fascia che va dalla parte nord orientale del Bengala Occidentale e scende in direzione sud ovest fino al confine col Karnataka, comprendendo nel tragitto gli stati di Orissa, Bihar, Jharkhand, Chhattisgarh, Andhra Pradesh e il neonato Telangana. Se lo guardate sulla cartina politica dell’India, il Red Corridor ammonta pressapoco a un terzo del territorio indiano, anche se i naxaliti operano prettamente nelle zone rurali.
Lo scontro con le autorità indiane si è animato, negli anni, di tecniche da guerriglia nella giungla, arruolando tra contadini e tribali le milizie – spesso molto giovani – utili a combattere lo Stato in un’ottica local: attentati alle stazioni di polizia, rapimenti di politici locali, forme piuttosto grezze di autogoverno.
Col tempo la violenza naxalita registrò un crescendo di intensità, arrivando all’apice negli anni 2000 quando, secondo i dati ufficiali del governo, i naxaliti erano attivi in 160 distretti su 604. Delhi prese provvedimenti drastici, dando il via libera alla creazione di milizia paramilitari per combattere i maoisti coi loro stessi metodi.
Nacquero così corpi speciali come il Salwa Judum, l’esercito anti naxalita sostenuto, addestrato e foraggiato dal governo locale del Chhattisgarh, celebre per i suoi metodi non convenzionali (tortura, stupro di massa, saccheggio di villaggi, impiego di soldati bambini) utilizzati per de-naxalizzare il territorio. Nel 2011 la Corte suprema intervenne e dichiarò il Salwa Judum illegale, ordinandone lo smantellamento e l’apertura di indagini per violazione dei diritti umani.
Lo scorso anno un attentato naxalita andò a segno nel distretto di Bastar (Chhattisgarh), colpendo uno dei fondatori del Salwa Judum – Mahendra Karma, deputato locale dell’Indian National Congress – e altri 27 uomini tra colleghi e scorta.
Ieri, sempre nel distretto di Bastar, i naxaliti hanno ucciso 15 soldati e un civile, sparendo poi nel nulla: un atto intimidatorio a poche settimane dalle elezioni che gli stessi naxaliti hanno deciso di sabotare. Il ministro dell’Interno Sushilkumar Shinde si è recato oggi sul posto a onorare le vittime, annunciando la “vendetta” che presto sarebbe calata sui maoisti.
La notizia dovrebbe essere di primo piano ma invece rimane relegata nei piccoli titoli a fondo pagina, segno che la violenza di quelle aree rurali è ormai affare consuetudinario. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
Ieri c’è stato un attentato terroristico in Chhattisgarh, uno degli stati a più alta influenza naxalita di tutta l’India. Sedici morti, di cui quindici soldati, e responsabili svaniti nel nulla. La cosa sorprendente, al pubblico occidentale, è che un episodio come questo fa fatica ad essere una “notizia” per più di mezza giornata.