Con l’intervento militare nel Sahel, l’Italia punta a ritagliarsi un ruolo di primo piano in una zona strategica, cercando di farsi spazio tra Usa e Francia. Ma la missione potrebbe presentare un costo elevato in termini di vite e di mezzi impiegati. E il rischio di impantanarsi è alto
Dopo mesi di smentite e indecisioni, l’Italia ha deciso di intervenire militarmente in Africa, aprendo così un nuovo capitolo nella storia delle sue operazioni all’estero.
Dal ponte della nave Etna, dove si trovava per salutare i militari italiani della missione Sophia, il 24 dicembre il premier Paolo Gentiloni ha dichiarato che Roma è pronta ad inviare in Niger “una missione che avrà il ruolo di consolidare quel Paese, contrastare il traffico degli esseri umani e contrastare il terrorismo”.
L’operazione si inserisce nel quadro delineato durante il vertice avvenuto due settimane fa al castello della Celle Saint-Cloud, poco fuori Parigi, dove il presidente francese Emmanuel Macron ha riunito capi di Stato africani e rappresentanti europei per sostenere il G5 Sahel, l’iniziativa militare congiunta tra cinque Paesi della regione sahelo-sahariana (Mali, Niger, Burkina Faso, Mauritania e Ciad), nata con l’obiettivo di ripristinare la sicurezza nella zona. E già in quell’occasione Gentiloni diede tutto il suo appoggio, lasciando intendere che l’Italia avrebbe partecipato concretamente all’iniziativa.
Nelle prossime ore il decreto contenente le linee guida dell’intervento militare dovrebbe arrivare al Consiglio dei ministri, per poi approdare in Parlamento, dove diventerà legge entro l’inizio dell’anno. La missione, che comincerà nei primi mesi del 2018, prevede un primo contingente di 120 uomini, che dopo giugno aumenterà fino ad arrivare a 470, anche se non verranno mai impiegate più di 250 unità contemporaneamente. Il premier Gentiloni ha annunciato che una parte della missione italiana impegnata in Iraq, che conta in totale 1.500 militari, verrà spostato in Africa. Secondo informazioni provenienti da fonti militari, sul posto sarebbe già presente una squadra di osservatori inviata dal Ministero della Difesa per i primi rilevamenti.
Oltre a svolgere ruoli previsti nell’ambito delle operazioni di peacekeeping, i militari italiani si occuperanno dell’addestramento delle forze locali che andranno ad integrare il G5 Sahel. Per questo, per il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Claudio Graziano, quella italiana “non sarà una missione combat” ma un’iniziativa volta a “preparare le forze locali a conservare la stabilità e a creare una capacità interna di mantenere la sicurezza”.
Con questa mossa, il governo italiano punta a ritagliarsi un ruolo di primo piano in uno dei teatri strategici più delicati dell’attuale scenario internazionale. Per la sua posizione, a cavallo tra Mali, Burkina Faso, Libia e Nigeria, il Niger rappresenta un crocevia fondamentale per le rotte migratorie e i traffici criminali dei gruppi terroristici. Caratteristiche che nell’ultimo decennio hanno provocato una militarizzazione progressiva del paese, con eserciti schierati in diversi punti.
Agli aspetti legati alla sicurezza si aggiungono poi gli interessi occidentali nei confronti delle risorse nigerine, come petrolio, oro, diamanti e, soprattutto, uranio.
Presente sul territorio con più di 4mila uomini impegnati dal 2014 con l’operazione Barkhane, la Francia cerca di ridimensionare il suo intervento, diventato ormai insostenibile per il bilancio del ministero della Difesa, che ogni anno spende più di 800 milioni di euro per mantenere i soldati sul posto. A tal proposito, fin dall’inizio de suo mandato il presidente Macron si è fatto portavoce del progetto G5 Sahel, moltiplicando gli sforzi volti a raccogliere i fondi necessari per il lancio dell’operazione.
Per contrastare la minaccia terroristica della regione, Parigi ha intensificato la partnership con Berlino, che ha dato il suo sostegno politico e logistico al processo di stabilizzazione dell’area. Prova evidente di questa intesa è l'”Alleanza per il Sahel”, un accordo franco-tedesco firmato la scorsa estate con il sostegno della Banca mondiale e delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di rilanciare lo sviluppo dei Paesi della regione sahelo-sahariana.
Impegnati nella lotta al terrorismo ci sono poi gli Stati Uniti, che a ottobre hanno perso quattro militari in un’imboscata compiuta da un gruppo terroristico vicino alla frontiera con il Mali. Dagli anni 2000 Washington svolge nella zona un’intensa ma discreta attività militare impiegando forze speciali per pattugliare il territorio. A fin novembre il Pentagono ha stretto un accordo con il governo nigerino che prevede l’armamento di droni fino a quel momento utilizzati per missioni di ricognizione. Gli americani hanno poi annunciato la costruzione di una nuova base aerea ad Agadez, che si aggiungerà ai punti logistici già esistenti a Zinder e Dirkou.
In un simile contesto, l’Italia non vuole rimanere indietro e cerca di farsi spazio tra i Paesi partner scendendo direttamente sul campo di battaglia.
Il Niger potrebbe diventare per Roma la pietra angolare su cui costruire una posizione inedita all’interno di una zona considerata strategica sotto molti punti di vista. In questo modo, Roma allargherebbe la sua sfera di influenza ben oltre l’area del Mediterraneo, scendendo al di sotto dei confini libici. Dopo le tensioni nate con Parigi a causa dell’atteggiamento troppo sfrontato del presidente Macron sul dossier libico, questa nuova fase militare potrebbe essere un’occasione per riconciliare Francia e Italia sul piano diplomatico.
Il rischio, però, è quello di rimanere impantanati nelle sabbie di una missione che promette di durare a lungo e che in futuro potrebbe presentare un costo elevato in termini di vite e di mezzi impiegati. Il G5 Sahel avrà bisogno ancora di molto tempo prima di diventare operativo a tutti gli effetti, obbligando così le forze occidentali a rimanere sul posto.
A questo si aggiunge poi la probabilità, molto forte visti gli attori in gioco, di restare in una posizione di gregario rispetto alle grandi potenze, senza riuscire ad imporre una presenza forte nello scacchiere militare nella regione.
L’Italia dovrà muoversi con cautela se vorrà emergere da un deserto che si annuncia particolarmente insidioso.
@DaniloCeccarell
Con l’intervento militare nel Sahel, l’Italia punta a ritagliarsi un ruolo di primo piano in una zona strategica, cercando di farsi spazio tra Usa e Francia. Ma la missione potrebbe presentare un costo elevato in termini di vite e di mezzi impiegati. E il rischio di impantanarsi è alto