L’ennesima strage compiuta dal trentunenne franco-tunisino Mohamed Lahouaiej Bouhlel sulla Promenade des Anglais di Nizza acuisce la nostra collettiva incapacità di comprendere le reali dimensioni del terrorismo jihadista.
Un attacco sferrato da un singolo “lupo solitario”, che agisce in maniera indipendente riuscendo a togliere la vita a 84 persone e a ferirne oltre un centinaio, è l’ennesima conferma dell’impossibilità di prevedere attacchi sferrati da terroristi autoctoni, che si abbeverano quotidianamente alla propaganda salvifica dell’Islam fino a immolarsi per la causa del jihad.
Bouhlel faceva parte dei cosiddetti terroristi ‘homegrown’, cioè persone che vivono in Occidente da molti anni, se non addirittura dalla nascita, che si trasformano in attentatori per colpire le società nelle quali non si sentono integrati.
Questa tipologia di jihadisti, spesso resi vulnerabili da situazioni di disagio economico-sociale, aderisce emotivamente all’islamismo attraverso un percorso di radicalizzazione favorito dalla propaganda online e dal condizionamento di correligionari attestati su posizioni estremiste.
Le prime notizie che trapelano sul profilo del fanatico islamista che ieri sera ha fatto ripiombare la Francia nel terrore, rispecchiano in pieno l’identikit del “terrorista di casa”. Bouhlel non era infatti inserito in alcuna organizzazione strutturata e non si era mai evidenziato in precedenza per attività estremiste.
Un terrorista di questo tipo è quasi impossibile da identificare prima che passi all’azione. Nei mesi scorsi, la Francia aveva già avuto esperienza diretta con questi esaltati sanguinari, come nel caso del trentaduenne Amedy Coulibaly, nato in un piccolo comune nella regione dell’Ile-de-France e originario del Mali, passato alla cronaca per la strage al supermercato kosher di Parigi, compiuta l’8 gennaio dello scorso anno all’indomani dell’attacco alla sede del settimanale satirico parigino Charlie Hebdo.
Ancora più recente è il duplice omicidio compiuto dall’estremista islamico Larossi Abballa, nato 25 anni fa a Mantes-la-Jolie, nella banlieue parigina. Nella notte dello scorso 13 giugno, al grido di Allah Akbar, il giovane ha sgozzato a Magnanville, nei pressi di Parigi, il vicecomandante della polizia giudiziaria di Les Mureaux, Jean-Baptiste Salvint, e sua moglie Jessica, una funzionaria della polizia locale.
Abballa ha ripreso in un video la truce esecuzione e prima di essere abbattuto dalle forze speciali francesi, ha dichiarato di aver giurato fedeltà allo Stato islamico e ha aggiunto che con il suo gesto rispondeva all’appello del califfo Abu Bakr al Bagdadi di “uccidere gli infedeli nelle loro case”.
L’estremista della banlieue parigina, radicalizzatosi su internet, con l’attentatore di Nizza aveva in comune un passato di piccolo delinquente fatto di rapine e violenze e la stessa ideologia intrisa di fanatismo e di cieca e crudele determinazione.
È evidente che qualcosa nell’inserimento di questi due francesi di origini maghrebine non ha funzionato e il disagio da immigrati li ha trasformati in spietati assassini, che rappresentano la spina dorsale dell’ultima e più pericolosa evoluzione del jihad, quella che intende creare un Occidente costantemente sotto attacco, spaventato e militarizzato.
La sfida epocale lanciata dal terrorismo islamista valica ovviamente i confini della Francia e investe tutta l’Europa e l’intero Occidente, considerati dalle frange più estreme come la causa di tutti i mali dell’Islam radicale e identificati come nemici da combattere.
Lo Stato Islamico schiacciato dalla controffensiva militare in Siria e in Iraq sta perdendo terreno, ma gli ultimi attentati rendono evidente che sta rimodulando la propria strategia operativa.
Questo cambiamento si sta concretizzando per mezzo di attacchi compiuti da cellule strutturate di miliziani affiliati, come nel caso di Dacca, oppure attraverso terroristi autoctoni reclutati sulla rete e privi dell’appoggio di un gruppo organizzato, come sembra essere l’attentato di ieri sera a Nizza.
Una sorta di passaggio dalla guerra alla guerriglia, che in termini operativi costituisce un ripiegamento, ma nella pratica si rivela altrettanto letale, generando la trasformazione del terrorismo in brand.
Un’evoluzione già ricorrente in al Qaeda, che teorizzando un jihad globale per anni ha posto il proprio sigillo su moltissimi attentati esaltando il martirio degli esecutori. L’organizzazione creata da Osama bin Laden però non è mai stata centralizzata come lo Stato Islamico, ma ha dato vita a rami locali germinati dal nucleo originale.
Una differenza sostanziale quando si tratta di colpire il “nemico lontano”, che dopo la strage di Nizza è sempre più vulnerabile.
L’ennesima strage compiuta dal trentunenne franco-tunisino Mohamed Lahouaiej Bouhlel sulla Promenade des Anglais di Nizza acuisce la nostra collettiva incapacità di comprendere le reali dimensioni del terrorismo jihadista.
Un attacco sferrato da un singolo “lupo solitario”, che agisce in maniera indipendente riuscendo a togliere la vita a 84 persone e a ferirne oltre un centinaio, è l’ennesima conferma dell’impossibilità di prevedere attacchi sferrati da terroristi autoctoni, che si abbeverano quotidianamente alla propaganda salvifica dell’Islam fino a immolarsi per la causa del jihad.