L’isolazionismo evocato da Trump minaccia gli interessi del vicino meridionale. Così il Messico va in cerca di nuovi partner. Anche a est. Il 4 settembre il presidente ha partecipato da esterno al vertice dei BRICS ed ha incontrato Xi Jinping. Con la speranza che possa aiutare il Messico a diventare un attore globale.
Della proiezione globale della Cina di Xi si è giustamente scritto parecchio. Molto meno discusso è il fatto che quest’ambizione globalista sia condivisa anche dal Messico di Peña Nieto, che aspira a sua volta – sebbene il suo “peso” economico e geopolitico sia nettamente inferiore, al confronto – a rafforzare i legami con le altre regioni del mondo, specialmente da quando Donald Trump si è insediato nello Studio Ovale della Casa Bianca. Proprio la paura di una ritirata isolazionista degli Stati Uniti e magari addirittura di un loro abbandono del NAFTA, l’accordo nordamericano di libero scambio attualmente in rinegoziazione, sta spingendo l’amministrazione Peña Nieto ad ampliare quanto più possibile la sua rete di alleanze commerciali nei continenti di America, Europa, Oceania e Asia.
Qualche giorno fa il ministro dell’Economia messicano ha fatto sapere che il NAFTA continuerà a regolare gli scambi tra Messico e Canada anche nel caso in cui gli Stati Uniti decidessero di uscire. Il Messico ha inoltre intenzione di aumentare la sua presenza economica in Centroamerica (specialmente nel Triangolo del nord) e in Sudamerica: a breve verrà revisionato il trattato di libero scambio con l’Uruguay, e il paese si sta avvicinando parecchio alla Colombia, al Brasile e all’Argentina. E ci sarebbe anche una volontà, non espressa ufficialmente, di stringere un patto petrolifero con Cuba in sostituzione di quello che l’isola possiede con il Venezuela. Una delegazione messicana è impegnata nel processo di ammodernamento dell’Accordo globale di libero scambio con l’Unione Europea del 2000, e un’altra dovrebbe presto prendere parte ai negoziati per estendere l’Alleanza del Pacifico agli stati di Australia, Nuova Zelanda, Canada e Singapore e trasformarla in una sorta di “piccolo TPP”, privo, ovviamente, di Washington. Ancora, il Messico ha manifestato interesse a promuovere il commercio di prodotti ittici con il Giappone e ad intensificare la cooperazione marittima con Singapore per fare del suo importantissimo porto un centro di smistamento dei prodotti agroalimentari che intende esportare nel Sud-est asiatico.
Se si guarda al presente con obiettività, però, l’idea di “Messico globale” è più un sogno che una realtà concreta. Per cominciare, la sua forza politica è insufficiente a garantirgli una solida influenza anche nella regione latinoamericana. A differenza della Cina, poi, il Messico non rappresenta oltre il 13% del PIL mondiale, il 43,6% della sua popolazione (vale a dire 53 milioni di persone) è povero e la sua economia dipende eccessivamente dagli Stati Uniti, che ricevono addirittura l’80% circa delle sue esportazioni. Il progetto di diversificazione commerciale appena riassunto precede sì l’elezione di Donald Trump – il governo messicano era ad esempio entusiasta del Trans-Pacific Partnership, promosso da Barack Obama –, ma è stato perseguito con un certo dinamismo proprio in questi ultimi mesi e viene ancora oggi trattato comunque come un’alternativa, un «piano B» (così lo ha definito il ministro dell’Economia Ildefonso Guajardo), nel caso qualcosa andasse storto con i negoziati del NAFTA e il libero accesso al mercato statunitense dovesse interrompersi.
Qui entra in gioco la Cina. Da quando Trump è diventato presidente la Cina non ha perso occasione per ricordare al Messico la sua amicizia, e a fine giugno l’ambasciatore Qiu Xiaoqi dichiarò che il suo paese manifestava un «grande interesse» di negoziare un trattato di libero scambio con il governo messicano. Per quanto la distanza reale dal primo posto, occupato dagli Stati Uniti, sia enorme, Pechino rappresenta il secondo maggiore partner commerciale di Città del Messico e negli ultimi anni, malgrado qualche incidente di percorso e il fatto che gli investimenti cinesi in terra messicana non siano tutto sommato ancora così rilevanti, le relazioni bilaterali tra i due paesi sono cresciute. Lo scorso lunedì a Xiamen Xi Jinping e Peña Nieto hanno parlato proprio di questo: della partnership che fa progressi, dell’export agroalimentare messicano in Cina che sta aumentando (vale 300 milioni di dollari l’anno), della presenza cinese nel liberalizzato settore petrolifero messicano (vi operano le compagnie CNOOC e Kerui) e in quello finanziario (la Bank of China e la ICBC hanno aperto delle filiali in Messico nel 2016).
A Xiamen il presidente Xi ha anche detto che il Messico rappresenta un nodo centrale nella «naturale estensione» latinoamericana della Belt and Road Initiative, la cosiddetta “Nuova Via della seta” che attraverserà Asia, Europa ed Africa e che rappresenta la traduzione concreta delle aspirazioni commerciali e geopolitiche di Pechino. Oltre a difendere il multilateralismo e il libero commercio, Xi Jinping ha parlato esplicitamente – e non è la prima volta – della necessità di insistere con il progetto di un accordo di libero scambio nel Pacifico, riferendosi chiaramente alla Alianza latinoamericana già esistente. La Cina, parola del suo presidente, aiuterà il Messico a giocare un ruolo maggiore sullo scenario internazionale. Staremo a vedere come.
@marcodellaguzzo
L’isolazionismo evocato da Trump minaccia gli interessi del vicino meridionale. Così il Messico va in cerca di nuovi partner. Anche a est. Il 4 settembre il presidente ha partecipato da esterno al vertice dei BRICS ed ha incontrato Xi Jinping. Con la speranza che possa aiutare il Messico a diventare un attore globale.