Lu Wei è un ex giornalista di Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale cinese (ed ex vice sindaco di Pechino), che dalla fine del 2013 è diventato direttore dell’ufficio generale del nuovo gruppo dirigente del partito sulla sicurezza internet, presieduto dal presidente Xi Jinping.

Update 15 marzo:
Secondo il South China Morning Post, i censori cinesi sarebbero stati una settimana negli uffici di Canton di Tencent, prima di procedere alla censura di numerosi account dell’applicazione di maggior successo in Cina. A WeChat sarebbe stata chiesta una forma di «auto censura».
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In un documento di Lu Wei presentato ad un incontro a Londra nel settembre 2013, enunciava la necessità di un ordine dell’internet, concentrandosi su alcune caratteristiche, in linea con il concetto di armonia e mantenimento della stabilità. E proprio per queste necessità, a finire tra le sue grinfie è stata l’applicazione più popolare in Cina, Wechat.
Negli ultimi mesi, dopo la clamorosa campagna contro i rumors on line, che di fatto non si è mai interrotta nel passaggio di potere tra Hu Jintao e Xi Jinping, a farne le spese era stato soprattutto Weibo, il twitter cinese, che nel corso dell’ultimo periodo ha perso parecchi users (il 9percento). Si tratta del risultato a seguito di molti arresti, compresi quelli di alcuni profili particolarmente famosi, costretti poi a confessare in televisione la propria smania di grandezza.
Questa repressione on line ha finito per spostare molte delle persone che navigano su internet in Cina, 600 milioni di cui una metà lo fa via smartphone, all’applicazione della Tencent, Wechat. Una specie di Whatsupp, con possibilità di chat vocali, di gruppo, un misto tra facebook, twitter e instagram. Nel corso degli ultimi due anni Wechat è diventata un’applicazione usata dalla larga maggioranza dei cinesi. Conversazioni private, all’inizio. Ma come al solito, anche in Cina, dai social si cerca di trarre profitto, ed ecco arrivare brand e marche, capaci di aggregare anche attraverso questa applicazione.
Che nel tempo è diventata anche un ottimo strumento per fare passare informazioni sull’attualità cinese, altrimenti vietate o censurate su Weibo. Con la difussione di informazioni, naturalmente, è arrivato anche il signor Lu.
«Almeno una dozzina di popolari account pubblici di WeChat – alcuni seguiti da centinaia di migliaia di abbonati – sono stati chiusi o sospesi ieri», ha scritto il quotidiano di Hong Kong, South China Morning Post. «Alcuni degli account erano gestiti da editorialisti popolari, come Xu Danei e Luo Changping , o da organi di informazione on-line, come NetEase. Il solo account di Xu aveva circa 200.000 followers».
Secondo quanto riportato dai media, «esperti del settore hanno detto che l’ordine di sospensione è stato inoltrato senza dare una ragione ieri pomeriggio. La maggior parte degli account che sono stati chiusi erano noti per la pubblicazione di commenti e articoli su temi di attualità. Non è stato dato alcun motivo, ha dichiarato un insider. Alcuni degli account sono stati chiusi definitivamente.
Nell’eterno movimento guardie ladri tra censura e netizen in Cina, ecco dunque un nuovo capitolo.
Lu Wei è un ex giornalista di Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale cinese (ed ex vice sindaco di Pechino), che dalla fine del 2013 è diventato direttore dell’ufficio generale del nuovo gruppo dirigente del partito sulla sicurezza internet, presieduto dal presidente Xi Jinping.