Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è sbarcato domenica 20 marzo a L’Avana in visita ufficiale. È una svolta storica nelle relazioni tra Cuba e Stati Uniti: la tensione tra i due grandi nemici ha segnato il destino di tutta l’America Latina per più di cinque decenni e portato il mondo sull’orlo di una guerra nucleare.
Era da 88 anni che un presidente statunitense in carica non visitava il Paese caraibico da quando Calvin Coolidge ci era arrivato nel 1928 su una nave da guerra. Obama invece è approdato a L’Avana accompagnato dalla famiglia – e da uno stuolo di deputati e di imprenditori grandi e piccoli – ed è stato accolto da una folla curiosa, stupita e speranzosa. Il suo primo giorno è stato una perfetta e rilassata visita turistica ad Habana Vieja tra gli antichi edifici tinti di fresco, la folla, la musica, i colori. Sui molti balconi, inimmaginabile fino a poco tempo fa, sventolava accanto alla bandiera cubana quella a stelle e strisce.
In contrasto con l’emozione tra i cubani e la dimensione storica che all’evento ha attribuito gran parte della stampa mondiale, l’organo ufficiale del Partito comunista cubano, Granma, si è prodotto in un lungo editoriale precisando che era “la prima volta che un presidente Usa arrivata in una Cuba sovrana con una Rivoluzione al potere” e “non disposta ad abbandonare gli ideali antimperialisti”.
Mentre l’Air Force One atterrava, sul sito del Granma la visita di Obama, definita “importante” ma non storica, aveva tanto spazio quanto quella dei giorni precedenti di Nicolás Maduro, il presidente venezuelano, ultimo grande alleato nel Sudamerica della rivoluzione cubana.
Le tv latinoamericane hanno continuato a trasmettere interviste a cubani raccolte in strada, tutte ricordando che erano positive. Segundo Alvarez, un attempato allenatore di box dice: “Se Obama viene, dev’essere per migliorare la situazione del popolo, che tanto ne abbiamo bisogno. Abbiamo resistito e resisteremo ancora se necessario, ma se le cose cambieranno, lo riceveremo con amore”. Maryelis Morales, traduttrice, non trova le parole: “Chiedo a… a… a quanto di più sacro abbiamo che i due presidenti si capiscano!”.
Il contrasto tra l’atteggiamento misurato del governo cubano e quello dei cubani che sperano in un miglioramento della vita quotidiana, delle comunicazioni con il resto del mondo e della libertà di espressione non è l’unico contrasto tra ciò che si dice e ciò che si fa in questa ripresa delle relazioni tra due paesi che per storia, geografia e cultura sono partner naturali.
La sensazione è che entrambe le parti siano ben consapevoli di avere dei limiti che non possono essere forzati, tra cui l’embargo e i diritti umani a Cuba, uno degli argomenti principali contro il processo di riavvicinamento degli esiliati cubani negli Usa. Obama nel suo discorso lunedì ha preso atto delle differenze e confermato che saranno l’oggetto di una futura conferenza.
Nelle ultime settimane le retate contro i dissidenti si sono intensificate. Tuttavia, domenica, a seguire la manifestazione delle Dame de Blanco, i parenti di prigionieri politici, c’erano le telecamere delle tv di tutto il mondo che hanno anche trasmesso i tafferugli tra dissidenti e polizia. In altre parole, dove non hanno potuto 56 anni di politiche molto dure, soprattutto per la popolazione, potrebbe riuscirci la forza delle immagini.
Un altro argomento contro “Cubama” dei cubani conservatori negli Usa, tra cui alcuni illustri come il senatore Marco Rubbio e il candidato Ted Cruz, è che gli Stati Uniti hanno cambiato molte norme, cosa che non avrebbe fatto il governo cubano. Ciò non è vero stando all’elenco delle misure adottate dal governo cubano secondo il Consiglio per commercio Usa-Cuba: l’elenco occupa una pagina e mezzo, quasi tanto quanto quello delle iniziative statunitensi. La differenza è che a L’Avana non possono vantarsene perché certi settori della società cubana percepiscono i cambiamenti ancora con grande diffidenza.
Dietro le quinte, tuttavia, l’Isola si sta aprendo a una velocità a un ritmo più sostenuto del previsto. “Sono piccoli passi che fanno una grande differenza, come gli accordi per l’aviazione, il servizio postale o la protezione dell’ambiente. L’embargo è importante, ma i cambiamenti legislativi hanno aperto molte opportunità”, ha scritto il professore e consulente del governo Usa grande esperto di Cuba, Bill LeoGrande.
Accordi tra i porti, contratti per infrastrutture per le telecomunicazioni (AT&T e Verizon e ora anche Google), sempre più voli regolari e la visita a Cuba l’anno scorso di più di 500 imprenditori nordamericani confermano che Cuba per il commercio e la produzione è una delle ultime frontiere al mondo. Nel turismo, invece, i ritmi sono accelerati: Airbnb ha affittato più alloggi negli ultimi due mesi che in tutto l’ultimo anno, per non parlare della spinta delle grandi catene alberghiere che operano già sull’Isola. Cuba ha aumentato l’acquisto di medicinali del 457% rispetto al 2014.
Davanti alla previsione di un raccolto dello zucchero terribile, il governo cubano non suona la fanfara agli imprenditori nordamericani, ma non solo non li respinge, fa una importante concessione: le aziende Usa potranno assumere direttamente. Salvo eccezioni, finora i lavoratori a Cuba erano tutti impiegati dello Stato. I pragmatici imprenditori di origine cubana sono entusiasti, come l’amministratore delegato della Novegian Lines che non vede l’ora di attraccare con una prima nave da crociera.
“La differenza è che prima L’Avana respingeva gli Usa complessivamente, ora solleva problemi puntuali, seppure critici, come l’embargo [che solo il Congresso Usa può eliminare, ndr] o la resa a Cuba del territorio di Guantanamo”, dice il professore LeoGrande.
“L’embargo finirà“, ha potuto dire alla conferenza stampa a L’Avana per la prima volta Obama. “Non so quando, ma la spinta verrà dai progressi che stiamo facendo”.
Permettendo al governo del partito unico cubano di salvare la faccia – anche durante l’inedita sessione di domande dopo la conferenza stampa comune – evitando di insistere su ciò che è irrisolvibile nel breve-medio termine, Obama si è garantito un interlocutore. In più, evita una resa dei conti tra popolazione e governo cubano accrescendo la disponibilità ai cambiamenti.
È stato bravo nel marketing di se stesso: “Obama è uno di noi“, dicono con orgoglio molti cubani di origine africana. Sorprendendo tutti, Barack si è lasciato riprendere venerdì per uno sketch sulla tv ufficiale con Pánfilo, il comico più amato a Cuba.
Tra i cambiamenti importanti sussurrati ci sarebbe come possibile successore a Raúl Castro il primo vice presidente, Miguel Díaz-Canel, che ha circa l’età di Obama. Sarebbe il primo non Castro al potere da sessant’anni, giovane e amante dei Rolling Stones.
“Es un nuevo día“, “È un nuovo giorno”, ha detto Obama, e Cuba sta cambiando, anche se lentamente e per certi aspetti in sordina. Non baderanno al volume invece venerdì proprio i Rolling Stones nel loro primo concerto, gratuito, a Cuba. Di storico in questi giorni a Cuba ce n’è per tutti i gusti.
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è sbarcato domenica 20 marzo a L’Avana in visita ufficiale. È una svolta storica nelle relazioni tra Cuba e Stati Uniti: la tensione tra i due grandi nemici ha segnato il destino di tutta l’America Latina per più di cinque decenni e portato il mondo sull’orlo di una guerra nucleare.