Il complesso meccanismo delle elezioni di “mezzo-termine” Usa o è una “sciccheria” costituzionale o una iattura.

Nelle elezioni generali americane, che si tengono ogni quattro anni, si vota per il rinnovo di tutta la Camera, parte del Senato e per eleggere il Presidente e una parte dei governatori. Tra un’elezione generale e l’altra si tengono le elezioni dette mid-term in cui gli elettori sono chiamati alle urne per rinnovare l’intera composizione della Camera ed i seggi del Senato che non hanno partecipato alle precedenti competizioni elettorali.
Parallelamente alle elezioni generali e alle mid-term sono organizzate anche elezioni su base statale, per il rinnovo delle assemblee di stato e dei governatori. Dunque, escluse le primarie, ogni due anni negli Usa si svolge un’elezione “importante”.
Il fenomeno delle elezioni di mid-term negli Usa è tornato prepotentemente nel dibattito politico nel 1994 quando i Repubblicani – durante il primo mandato di Clinton – presero il controllo di entrambe le camere per la prima volta dopo quarant’anni.
Non è necessariamente la popolarità di un Presidente che determina l’esito delle elezioni di mid-term; secondo alcuni studiosi, le elezioni sarebbero disegnate per “punire” piuttosto il partito, più che il Presidente che occupa la Casa Bianca. Si è constatato come il livello della popolarità di un Presidente danneggi più il suo partito di quanto possa aiutarlo.
Negli Usa, il termometro che misura il risultato delle elezioni di mid-term non è dato tanto dai seggi conquistati dal singolo partito ma da quanti ne perde il partito del Presidente ed, eccetto che nel 1934 sotto Roosevelt e nel 1998 con Clinton, al secondo mandato, il Partito del Presidente ha sempre perso.
Secondo alcuni studiosi, tra cui l’italiano Alberto Alesina, lo scopo delle elezioni di midterm è quello di legare il ciclo politico al ciclo economico attraverso il bilanciamento delle diverse polarizzazioni economiche che i due schieramenti rappresentano nel paese: gli stimoli all’economia (Democratici) ed il controllo dell’inflazione (Repubblicani).
Secondo un altro filone di pensiero, le elezioni di mid-term vanno considerate come un ulteriore controllo da includere tra i checks and balances, uno strumento che si è evoluto in un mezzo per controllare l’esecutivo, ridimensionare il suo partito e imporre un cambiamento alla linea politica; ma il sistema di checks and balances si è trasformato in uno stallo che blocca la produzione legislativa. Poi diventa facile sostenere che la complessa riforma sanitaria Obama abbia difficoltà ad essere implementata, con un potere legislativo non armonico con l’esecutivo.
Analizzando le elezioni durante un arco temporale di 100 anni, dal 1894 al 1994, emerge come il Congresso diventi molto meno produttivo e più litigioso all’indomani delle elezioni di mid-term. Nello specifico: la produzione legislativa scende del 5% se si prendono in esame tutte le tipologie di leggi. Se invece ci soffermiamo sulle leggi ritenute importanti, dal secondo dopoguerra, la produzione legislativa è scesa del 27%. In più, all’indomani dell’elezioni di midterm, aumenta esponenzialmente il successo del cosiddetto “veto override” – ovvero la capacità del Congresso di sbloccare i veti presidenziali avvalendosi dei 2/3 nelle due Camere – passando dal 26% al 42% (dati presi in esame dal 1896).
È vero che la sconfitta patita da Obama nel 2010 è stata la più pesante dalla Seconda Guerra mondiale ad oggi. Memore di quel risultato, il Presidente sta oggi investendo tantissimo per sostenere i candidati democratici al Congresso e lo fa ponendo l’accento sulla difficoltà di dialogare con la controparte e dunque in ultima analisi sull’impossibilità di governare.
Nella seconda settimana di settembre 2014, il consenso popolare per Obama è al 41%. Per fare un paragone, George Bush e Bill Clinton durante il secondo anno del loro secondo mandato registravano rispettivamente il 42% ed il 64%.
Per trovare Obama saldamente sopra il 50% bisogna tornare indietro al dicembre 2012, dopo la rielezione, mentre per andare sopra il 60%, il salto da fare è fino al 2009, ovvero al primo anno della sua presidenza.
Le elezioni di mid-term che si terranno il 4 novembre prossimo riguarderanno complessivamente 36 seggi su 100 al Senato, di cui 21 detenuti dai Democratici e 15 dai Repubblicani; mentre la Camera verrà completamente rinnovata.
Secondo le previsioni attuali, i Repubblicani sono in vantaggio al Senato ma non in maniera netta, mentre la Camera è più saldamente nelle loro mani.
La sensazione è comunque che anche il modello di democrazia americana stia attraversando una crisi strutturale. In Europa abbiamo la paralisi decisionale connessa all’evoluzione non sempre lineare delle Istituzioni europee; ma anche negli Usa, la serie storica su evidenziata dimostra che è molto difficile – anche per il Presidente più visionario e affascinante – governare con il Congresso contro.
Forse sarebbe necessario avere il coraggio di adottare delle piccole modifiche, come potrebbe essere una riduzione delle percentuali da rinnovare con le elezioni di mid-term (per la Camera, se ne potrebbe far decadere solo metà) così da riequilibrare i pesi politici senza alterare le maggioranze di governo.
È tempo di riforme per tutti, se in Occidente vogliamo tornare a fungere da modello di riferimento anche per quelle società (penso a Medio Oriente e Nord Africa, soprattutto) che stanno faticosamente aprendosi un varco verso l’autodeterminazione e la partecipazione democratica.
Il complesso meccanismo delle elezioni di “mezzo-termine” Usa o è una “sciccheria” costituzionale o una iattura.