Rutte si è confermato per la quarta volta Primo Ministro dell'Olanda, nonostante lo scandalo dei sussidi. Ora dovrà affrontare le domande scomode di una società in trasformazione
Rutte si è confermato per la quarta volta Primo Ministro dell’Olanda, nonostante lo scandalo dei sussidi. Ora dovrà affrontare le domande scomode di una società in trasformazione
Il 2021 non è cominciato al meglio per l’Olanda, o meglio i Paesi Bassi, denominazione ufficiale che da pochi mesi tutte le istituzioni devono adottare senza eccezioni. I Paesi Bassi a capodanno erano già in lockdown da tre settimane, tanto che gli amati/odiati petardi e fuochi d’artificio sono stati proibiti del tutto. Lockdown duro: scuole chiuse, restrizioni eccezionali anche alle visite tra familiari, almeno fino a marzo.
Lo scandalo dei sussidi
Il 15 gennaio, il Primo Ministro Mark Rutte ha presentato le dimissioni al re, in seguito allo “scandalo dei sussidi“. Lo Stato chiedeva arbitrariamente indietro a 26mila famiglie i contributi sociali regolari versati, adducendo accuse di frode pretestuose, per di più tinte di razzismo: i beneficiari erano spesso famiglie di origine straniera, a cui i sussidi servivano per pagare le scuole pubbliche dei figli, e a cui l’amministrazione negava anche le informazioni per difendersi o fare ricorso, mentre li obbligava al rimborso intero, immediato, di quanto versato loro negli anni, provocando sfratti, fallimenti, divorzi tra chi non riusciva a saldare. Le dimissioni sono arrivate, a due mesi dalle elezioni (17 marzo), soprattutto per evitare il dibattito e la sfiducia in Parlamento.
Rutte ha promesso risarcimenti, ma è riuscito a lasciar scivolare la colpa sui Ministeri e gli uffici, negando che ci fosse un qualsiasi indirizzo politico nella gestione dei contributi. È il punto di vista, invece, dei critici, che sottolineano come una “dottrina-Rutte” abbia sì condizionato l’azione della pubblica amministrazione, al fine di colpevolizzare e mettere il più possibile i bastoni tra le ruote ai cittadini che richiedono sussidi allo Stato.
Una settimana dopo le dimissioni, tre giorni di proteste e sommosse notturne contro l’inasprimento delle restrizioni sanitarie hanno colpito a macchia di leopardo, con saccheggi e incendi, assalti a centri ospedalieri, scontri con la polizia. Episodi dai contorni difficili da definire, a cavallo tra rabbia giovanile, esasperazione per le misure anti-Covid, provocazioni di estremisti, ma anche ribellione di negazionisti e no-vax, diffusi questi ultimi soprattutto nelle province dove domina l’ortodossia religiosa protestante – una realtà poco conosciuta, descritta dalle crude pagine di Marieke Lucas Rijneveld. Definite da Rutte “violenza criminale”, le sommosse sono state innescate dall’istituzione del coprifuoco alle 21, per alcuni un’assurda limitazione alla libertà personale.
Pericolo batosta elettorale? Non per Mark Rutte, che arriva alla vigilia del voto da favorito. Rutte è Primo Ministro dal 2010, e ha dimostrato di saper galleggiare alla perfezione tra le complessità della frammentata e variegata politica olandese. Vinse di un soffio le elezioni di quell’anno, emergendo come volto concreto, ragionevole, negoziatore, tre qualifiche molto apprezzate dall’elettore medio. E prima di dedicarsi del tutto alla politica gestiva le risorse umane nella multinazionale Unilever, altro bonus in un paese dalla mentalità imprenditoriale e materiale radicata.
Rutte riuscì allora a cucire un accordo di Governo insieme al Partito del Lavoro, la tradizionale forza di sinistra, ma con l’appoggio esterno del Partito della Libertà di Geert Wilders, ultraliberale e xenofobo. Nella legislatura successiva (2012-17), l’accordo fu solo con il Partito del Lavoro, che ne uscì annientato, un po’ come accadeva nello stesso momento nella Germania di Angela Merkel alla SPD. Dal 2017 a oggi, ha costruito una coalizione con un altro partito liberale, più progressista, e due partiti di ispirazione religiosa, i Cristiano-sociali (cattolici) e l’Unione cristiana (protestante).
La popolarità di Rutte era appannata all’inizio del 2020, anche per una serie di clamorose rivelazioni su regali concessi a varie multinazionali, a cominciare dall’anglo-olandese Shell, la cui sede nel 2005 è stata portata all’Aia, si è scoperto, in cambio di una sanatoria fiscale totale nascosta da artifici contabili. I Paesi Bassi risultano il quarto paradiso fiscale al mondo per le grandi imprese. Ma l’iniziale gestione della pandemia, fatta di restrizioni leggere e sussidi a pioggia, il “lockdown intelligente” istituito da marzo a maggio, chiamato così da Rutte stesso (ma l’auto-apprezzamento non è un problema nei Paesi Bassi), hanno rinverdito la reputazione del primo ministro e sono state applaudite da una società sensibile al tema delle libertà personali, e culturalmente propensa a vedere nel coronavirus non un‘emergenza di lungo periodo, ma un fastidio di cui liberarsi presto con qualche piccola precauzione.
Le incognite della campagna elettorale
Rutte ha interpretato l’animo della maggioranza dei suoi connazionali anche quando si è messo alla testa dei “frugali” per bloccare il Recovery Fund. L’intransigenza olandese (Rutte nel 2015 stava per essere sfiduciato dal Parlamento dopo aver votato nel Consiglio europeo in favore di un pacchetto di aiuti alla Grecia) sarà risultata antipatica a Parigi o a Roma, ma è di certo concorde con una disistima diffusa nell’opinione pubblica riguardo le capacità politiche, amministrative e contabili dell’Europa mediterranea.
Il Primo Ministro ha però ancora qualche incognita davanti a sé, prima della riconferma. La prima è la pandemia: il partito di Rutte ha vinto le elezioni del 2010, 12 e 17 rispettivamente con il 20, il 27 e il 21% dei voti, non certo un consenso oceanico, però sufficiente in un quadro politico ultra-frammentato: sono 37, un record, le liste presenti sulla scheda quest’anno. Il capolista del partito più votato è incaricato per la guida del Governo. La paura di uscire potrebbe condizionare l’affluenza, anche se nessuno sa prevedere come, e la campagna vaccinale procede a rilento, peggio della media europea. Di certo, se le restrizioni pesanti continuassero il sostegno per il premier uscente potrebbe affievolirsi: perciò non si escludono ammorbidimenti proprio alla vigilia del voto.
La seconda è l’economia. La situazione è in chiaro-scuro: i Governi sparagnini di Rutte hanno portato il debito pubblico sotto il 50% del Pil, e dunque c’è una grande solidità finanziaria su cui poggiare l’aumento della spesa pubblica dovuto alla pandemia. L’indebitamento privato invece è alto, grazie al boom dell’edilizia, della compravendita e dei prezzi delle case. Mentre l’immobiliare e il settore bancario correvano (troppo, secondo alcuni), il sistema produttivo esportatore dei Paesi Bassi era già in difficoltà nel 2019 per il calo del commercio internazionale, e ora sconta anche tutte le asprezze della pandemia e della Brexit.
Nella campagna elettorale si parla molto di disuguaglianze, in particolare tra quei lavoratori garantiti dai contratti migliori e invece i tanti indipendenti (1.4 milioni su 17 milioni di abitanti) che in un momento in cui l’occupazione e l’offerta di lavoro crollano non hanno infrastruttura sociale a sostenerli. D’altro canto, il mercato finanziario di Amsterdam sta volando grazie a operatori, scambi e agenzie che si sono spostate nei Paesi Bassi perché la Ue non riconosce più la City di Londra. Al Covid si deve invece invece la crisi nera di uno dei gioielli nazionali, l’aerolinea KLM (un terzo di capitale pubblico, e che ha già ricevuto aiuti per 3.4 miliardi), e degli aeroporti come Schipol, prima una vera macchina da soldi di gestione al 100% pubblica.
Dai tanti partiti disponibili, però, non emerge un’alternativa che riesca ad andare oltre l’orticello del proprio elettorato di riferimento – il più grande dei quali sembra quello di Geert Wilders, che a Bruxelles siede con Matteo Salvini e Marine Le Pen. A Rutte potrebbe di nuovo bastare meno di un quarto dei voti espressi per vincere. Tuttavia, come sta accadendo in molte altre parti del mondo, il futuro Governo non sarà semplicemente un nuovo esecutivo, ma dovrà affrontare le domande profonde e scomode che attraversano una società in trasformazione. Mark Rutte rischierà davvero il posto se e quando gli olandesi penseranno che non abbia le risposte giuste.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Rutte si è confermato per la quarta volta Primo Ministro dell’Olanda, nonostante lo scandalo dei sussidi. Ora dovrà affrontare le domande scomode di una società in trasformazione
Il 2021 non è cominciato al meglio per l’Olanda, o meglio i Paesi Bassi, denominazione ufficiale che da pochi mesi tutte le istituzioni devono adottare senza eccezioni. I Paesi Bassi a capodanno erano già in lockdown da tre settimane, tanto che gli amati/odiati petardi e fuochi d’artificio sono stati proibiti del tutto. Lockdown duro: scuole chiuse, restrizioni eccezionali anche alle visite tra familiari, almeno fino a marzo.
Lo scandalo dei sussidi
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