L’uccisione a colpi di arma da fuoco della giornalista indipendente Gauri Lankesh dimostra come l’ultrainduismo in India minacci sempre di più la libertà di opinione e il governo non sappia, o non voglia, reagire.
Lo scorso 5 settembre la nota giornalista indiana Gauri Lankesh è stata uccisa a colpi di pistola davanti alla porta della sua residenza a Bangalore, nello stato indiano del Karnataka. Lankesh, 55 anni, dirigeva il tabloid locale in lingua kannada Gauri Lankesh Patrike («Il giornale di Gauri Lankesh»), famoso nella regione per l’incessante critica senza sconti ai potenti di turno, in particolare agli esponenti della destra ultrahindu e ai sostenitori dell’Hindutva: la dottrina dell’estremismo hindu che ispira tutte le sigle dell’ultrainduismo extraparlamentare e gran parte dei politici del Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito del primo ministro Narendra Modi.
Lankesh era figlia d’arte. Il padre, P. Lankesh, è stato uno degli intellettuali simbolo del progressismo kannada: poeta, regista, scrittore e giornalista, fondò nel 1980 il tabloid di sinistra Lankesh Patrike, che diresse fino alla morte, nel 2000. La pubblicazione fu ereditata dai due figli, Gauri e Indrajit, ma la giornalista la abbandonò nel 2005 a causa di dissidi col fratello circa la linea del giornale, secondo Indrajit troppo a sinistra.
Gauri Lankesh era nel mirino dell’ultrainduismo da anni, a causa dei numerosi interventi sui media nazionali in lingua inglese e delle sue invettive pubblicate sul suo giornale, in lingua locale, dirette agli esponenti della ultradestra hindu. Due anni fa era stata condannata per aver diffamato due esponenti del Bjp dello stato del Karnataka. Sentenza che all’epoca fu sbandierata dal Bjp come un «monito» per i giornalisti che osavano criticare il partito.
Lankesh, come suo padre e come centinaia di intellettuali progressisti indiani, si batteva contro il sistema delle caste, contro l’intolleranza dell’hindutva, per la libertà di espressione e per un’India più laica, più democratica e più rispettosa delle minoranze. La sua morte ha scatenato proteste in tutto il paese, a dire il vero partecipate da quella nicchia di progressisti e oppositori dell’attuale governo in carica che negli ultimi anni troppe volte si è ritrovata a piangere la morte di un collega giornalista, scrittore, artista, «razionalista» (chi si batte per sfatare le credenze cialtrone di un certo induismo antiscientifico da baraccone).
Nonostante la questione della libertà d’opinione fatichi ad attirare l’interesse di gran parte della società indiana, la repressione violenta del dissenso e la restrizione degli spazi democratici in India è ormai un problema macroscopico cui il governo centrale non riesce, non sa, o non vuole reagire. Mentre gli ambienti progressisti hanno unanimemente condannato l’omicidio della giornalista – inserendolo nella scia di omicidi, minacce e intimidazioni che hanno preso di mira gli oppositori dell’ultrainduismo, i cosiddetti «anti-indiani» – diversi sostenitori di Modi sui social network hanno festeggiato per la morte di una «cagna anti-nazionale» spingendosi addirittura a scrivere liste di nomi di oppositori da «eliminare». Sagarika Ghose, famosa giornalista indiana moglie dell’ancor più celebre giornalista Rajdeep Sardesai, dopo aver trovato il suo nome in una di queste «kill list» – al fianco di Shobha De (giornalista e scrittrice), Arundhati Roy (scrittrice e saggista), Kavita Krishnan (politica e attivista) e Shehla Rashid (attivista kashmira della Jawaharlal Nehru University di New Delhi) – ha sporto denuncia alla polizia di New Delhi, che ha aperto un’indagine. Nel post incriminato l’ipotesi che le donne siano uccise è descritta come «un raggio di speranza».
In un editoriale pubblicato dal magazine online The Wire – con cui Lankesh collaborava – si legge: «Un omicidio sfrontato come questo intende mandare un messaggio non solo ai giornalisti ma a tutti i pensatori indipendenti e ai dissidenti: questo potrebbe essere anche il vostro destino. L’unica risposta appropriata dovrebbe essere fare l’esatto contrario di ciò che vogliono i killer – continuare ad opporsi a coloro che intendono diffondere terrore e silenziare chi si oppone. A una simile intolleranza bisogna resistere, bisogna denunciarla. Gauri Lankesh l’avrebbe fatto e noi glielo dobbiamo».
@majunteomajunteo
L’uccisione a colpi di arma da fuoco della giornalista indipendente Gauri Lankesh dimostra come l’ultrainduismo in India minacci sempre di più la libertà di opinione e il governo non sappia, o non voglia, reagire.