La morte del leader dei serbi non ha riacceso le tensioni etniche. Forse perché non c’entrano, suggerisce anche Vucic. Di certo lo status incerto di Mitrovica nord favorisce le gang criminali. E l’insicurezza dei serbi chiama in causa pure le istituzioni di Pristina
Mitrovica – Città etnicamente divisa e crinale, al tempo stesso, tra il Kosovo albanese e quello serbo, lembo di terra nel Nord del Paese dove l’influenza di Belgrado resta evidente, per quanto Pristina vi stia guadagnando sovranità. Per com’è fatta e per ciò che rappresenta Mitrovica è un punto di frizione. Dopo la guerra, ogni escalation è iniziata o ha avuto il suo picco qui, a partire dai giorni drammatici del marzo 2004, quando gli albanesi bruciarono la case dei serbi e vandalizzarono i monasteri ortodossi. A Mitrovica ci si sparò addosso: otto morti, trecento feriti.
Alla luce di questo e altri precedenti, c’era motivo di credere che l’assassinio di Oliver Ivanovic, il 16 gennaio scorso, avrebbe riacceso la miccia. Così non è stato. Nessuno scontro, nessun incidente. Forse perché l’omicidio del noto politico serbo-kosovaro, un pragmatico aperto al dialogo con Pristina, non è dovuto alle solite tensioni tra etnie? Può darsi. L’impressione, per ora, è che la faccenda sia tutta serba-serba. Vi alluderebbero diverse dichiarazioni, tra cui quelle del presidente serbo Aleksandar Vucic, secondo cui l’uccisione di Ivanovic, freddato davanti al suo ufficio, alla luce del sole, potrebbe dipendere dal conflitto che lo opponeva a Milan Radojcic, controverso imprenditore di Mitrovica Nord. Sarebbe una figura chiave del sistema di potere serbo-kosovaro, nonché fautore della Lista serba, il partito che da qualche anno ha assunto il potere in loco, interrompendo il lungo regno di Oliver Ivanovic su questo fazzoletto di terra.
Omicidio politico, insomma: o così viene da pensare, stando alle parole di Vucic. Vucic che, a ogni modo, sembrerebbe tenuto a fare un po’ di chiarezza. Sia perché la Lista serba è una sua creatura, che telecomanda da Belgrado; sia perché, come riporta il quotidiano Danas, Radojcic avrebbe buone entrature presso la famiglia del presidente serbo. Ma mancano gli elementi per verificare con rigore tutto questo. Potrebbe anche essere tutto un sentito dire. E al momento le indagini non hanno portato sviluppi.
Ci si deve concentrare, quindi, sulle conseguenze effettive della morte di Ivanovic, sia sul piano serbo, sia su quello delle relazioni serbo-albanesi. Un primo impatto è sulla sicurezza nel Kosovo a maggioranza serba e a Mitrovica Nord, sua capitale de facto. Lo status incerto di queste terre ha lasciato spazio di manovra a bande criminali. Non mancano episodi di prepotenza e intimidazione. Ivanovic li aveva denunciati. La sua morte, logicamente, acuisce il senso di insicurezza. «Se un leader così importante viene ucciso in tale maniera, la questione è: chi sarà il prossimo?. Diversi membri della comunità sono preoccupati, per loro stessi e per le rispettive famiglie», spiega Miodrag Milicevic, direttore di Aktiv, una Ong di Mitrovica Nord che, tra le altre cose, monitora gli umori della società serbo-kosovara.
L’insicurezza tra i serbi non è alimentata solo dalla fragilità dello scenario del nord. Non si nutre troppa fiducia nella polizia e nella magistratura kosovare, cui spettano sia la soluzione del caso Ivanovic, sia il compito di imporre la legalità e tutelare quindi l’incolumità dei serbo-kosovari. E ciò tira in ballo il più ampio contesto dei cosiddetti “accordi di normalizzazione” tra Belgrado e Pristina.
Siglati nel 2013, prevedono diritti certi e garanzie di autonomia per la minoranza serba, oltre al graduale smantellamento delle “istituzioni parallele” serbe a Nord, con la loro integrazione nello Stato kosovaro. Polizia e magistratura sono state già assorbite nelle strutture di Pristina. E Pristina diventa la garante della sicurezza dei serbi. «La morte di Ivanovic dimostra che le istituzioni del Kosovo sono deboli, non sanno proteggere i suoi cittadini. Ivanovic era un leader serbo, e senza di lui Mitrovica non sarebbe stata divisa. Ma era anche un cittadino del Kosovo. Solo per questo andava protetto», riflette Nexhmedin Spahiu, direttore di Mitrovica Radio-tv, emittente della parte albanese della città. Che però precisa: «Lo smantellamento di alcune strutture parallele ha portato dei giovamenti, ma a Nord rimane la dipendenza della Serbia. De iure polizia e magistratura sono nelle mani del Kosovo, de facto rimangono ancora legate a Belgrado».
Ne conseguirebbe che se Pristina è responsabile per la mancata protezione di Ivanovic, lo è anche Belgrado. Una situazione che potrebbe generare un rimpallo infinito di responsabilità, cosa già un po’ evidente, congelando l’attuazione dei restanti passaggi del processo di normalizzazione, pure questo un dato di fatto. Per esempio, i serbi bloccano l’apertura al traffico automobilistico del Ponte nuovo di Mitrovica, mentre gli albanesi si oppongono alla formazione di un’unione dei comuni a maggioranza serba, lo strumento che dovrebbe garantirle capacità di autogoverno.
Non tutto però deve passare da Belgrado e Pristina, ragiona Miodrag Milicevic. «Il dialogo va aperto anche in Kosovo, tra le due comunità. Senza questo, non avremo mai una normalizzazione piena. Perché alla fine tutta questa storia non riguarda Belgrado e Pristina, ma noi che viviamo in Kosovo».
Per la cronaca, e per concludere, due notizie. La prima è sulle indagini sulla morte di Ivanovic. Giorni fa erano stati arrestati due poliziotti, serbi, della centrale di Mitrovica Nord. Manipolazione della scena del delitto: questa l’accusa. Ma sono stati rilasciati dopo quarantott’ore. La seconda riguarda l’inaugurazione di una targa commemorativa davanti alla sede di Libertà, democrazia e giustizia, il partito di Ivanovic. Una palazzina color rosa pallido. Lì davanti Ivanovic è stato freddato. (2- continua)
Seconda parte del reportage a puntate “Diario da Mitrovica”, di Giorgio Fruscione e Matteo Tacconi, realizzato in occasione dei dieci anni della dichiarazione d’indipendenza del Kosovo. Potete leggere la prima puntata qui
@mat_tacconi
La morte del leader dei serbi non ha riacceso le tensioni etniche. Forse perché non c’entrano, suggerisce anche Vucic. Di certo lo status incerto di Mitrovica nord favorisce le gang criminali. E l’insicurezza dei serbi chiama in causa pure le istituzioni di Pristina