L’Onu, da oggi in Assemblea Generale, secondo Trump non serve a niente. Secondo Pechino, invece, è uno strumento molto utile per mostrare la propria potenza pacifica e dirimere potenziali controverse tra grandi potenze. Prossima prova sarà la questione nord coreana.
L’Assemblea Generale dell’Onu in programma oggi non comincia sotto i migliori auspici. All’incontro introduttivo di ieri sulle riforme dell’istituzione, Russia e Cina non c’erano. Un segnale che le trattative sulla Corea del Nord, uno dei punti più caldi delle discussioni, non saranno semplici. Eppure, per la Cina, l’Onu riveste grande importanza: Pechino ne è tra i fondatori e oggi il Paese è il terzo principale responsabile del budget delle Nazioni Unite.
I riferimenti di ieri, nell’incontro introduttivo sulle riforme delle Nazioni Unite, da parte di Donald Trump indicano la situazione in cui siamo: come già per Davos e per altre istituzioni, economiche e politiche, la nuova amministrazione Usa ritiene queste realtà come qualcosa di obsoleto quando non addirittura un «club» – proprio come Davos – responsabile della crisi internazionale.
Trump ieri ha parlato di necessità di de-burocratizzare l’Onu, sottolineando inoltre, come già ha fatto con la Nato, il peso che per gli Usa significa sostenere i costi per il budget – compreso quello militare – delle Nazioni Unite. L’approccio populista di Trump critica quindi le istituzioni attuali, tacciandole quanto meno di complicità con l’attuale momento negativo del mondo e in particolar modo degli americani e del loro stile di vita.
Come già per Davos, anche l’Onu è oggi incredibilmente, almeno in apparenza, difesa dalla Cina. Nonostante l’assenza di Xi Jinping all’assemblea di oggi e nonostante l’idea generale che spesso si ha, di una Cina che mal sopporta l’ambito internazionale collettivo, questo non vale di sicuro per l’Onu.
Pechino ha «sofferto» infatti quelle istituzioni, specie finanziarie ed economiche, come il Fmi, nelle quali gli Usa hanno sempre giocato a escludere Pechino dalle decisioni fondamentali: tanto che la Cina si è creata un proprio istituto finanziario, l’Aiib (L’Asian infrastructure and investment bank).
Diverso il discorso per l’Onu: nonostante l’assenza di Xi Jinping all’assemblea generale, Pechino punta molto sulle Nazioni Unite come ambito nel quale provare a dimostrarsi come potenza pacifica (basti pensare che il primo voto a favore di sanzioni contro la Corea del Nord non è arrivato in questi giorni, bensì nel 2006) e in grado di far valere la sua nuova natura «globale»: pur preferendo nelle situazioni di impasse i rapporti bilaterali, la Cina ritiene l’Onu un valido strumento di «equilibrio» per i rapporti tra potenze nel mondo multipolare.
Teniamo presente, inoltre, che la Cina è tra i fondatori dell’Onu, essendo uno degli stati uscito vincitore dalla seconda guerra mondiale. E contrariamente a quanto si pensi la Cina ha utilizzato il suo diritto di veto nel consiglio di sicurezza solo dodici volte, il numero minore dei veti nella storia dell’Onu.
Due sono le date fondamentali per la considerazione della Cina nei confronti dell’Onu: pur essendo tra i fondatori, nel 1949 la Repubblica popolare dava per scontato la sostituzione della Roc (Republic of China) con i nazionalisti rifugiati a Taiwan. Ma la sua posizione nel consiglio di sicurezza è rimasta congelata fino al 1971 quando una risoluzione le riconsegnò il suo posto nel consiglio, insieme al suo diritto di veto. Nel 2015, poi, Xi Jinping ha compiuto il grande passo: oltre a finanziarie il budget, la Cina ha messo a disposizioni i propri soldati per missione di pace, un passo fondamentale e storico per il rapporto tra Pechino e l’istituzione internazionale.
Il diritto di veto, le forze di pace e le sanzioni
Pechino ha usato il proprio diritto di veto solo dodici volte, di cui nove negli ultimi vent’anni. Gli ultimi sei diritti di veto hanno allineato la Cina alla Russia, perché erano riferiti alla situazione siriana. Quasi sempre i veti cinesi hanno poi riguardato paesi con cui Pechino ha forme di relazioni commerciali e di cui poi si fa scudo per sottoporre condizioni favorevoli ai paesi «salvati» da un veto cinese: nel 2007 il veto riguardava misure contro il Myanmar, nel 2008 lo Zimbawe.
Nel 1997 votò contro un’azione che pareva a Pechino un riconoscimento formale di Taiwan, mentre nel 1999 votò contro il prolungamento delle forze di pace in Macedonia in quanto la Macedonia aveva relazioni diplomatiche proprio con Taiwan. Spesso quindi la Cina ha usato l’Onu come strumento per redimere questioni più «interne», che non internazionali.
Questo «utilizzo» è possibile vederlo anche su due temi fondamentali dell’Onu: le forze di pace e le sanzioni. Spesso le forze militari cinesi sono state utilizzate in missioni che riguardavano da vicino interessi nazionali cinesi. La forza cinese di peacekeeping consta di 8mila uomini, e di una squadra permanente all’Onu. Xi Jinping nel 2015, inoltre, offrì 100 milioni di dollari da dedicare all’assistenza dell’Africa, dove la Cina ha naturalmente notevoli interessi.
Tanto che secondo alcuni studiosi la Cina usa l’Onu e le sue forze di pace proprio per essere riconosciuta come un paese affidabile dai Paesi in via di sviluppo ai quali sottopone proprio le proprio condizioni economiche per fare affari. Nel 2015 la Cina ha mandato le proprie truppe in Sud Sudan, dove ha interessi ingenti, essendo il compratore di circa l’82% del petrolio proveniente da lì.
Quanto alle sanzioni, anche in questo caso la Cina non sempre le ha osteggiate: dal 2000 al 2013 ha supportato 170 delle 178 proposte di sanzioni. Anche sulla Corea del Nord l’atteggiamento della Cina non è parso sempre lo stesso: dopo l’ok a quelle del 2006 non ha posto il veto a quelle del 2009, 2011, 2013, 2016 e queste ultime del 2017.
L’Onu può diventare dunque la «casa» politica internazionale della Cina come nuova guida globale? Pur stando all’interno dell’istituzione con compiti e posizioni spesso più diplomatici di quanto sembri, come al solito pare che Pechino «utilizzi» l’Onu più di volerne prendere le redini.
Per ora la Cina pare ottimista verso gli strumenti dell’Onu per dirimere potenziali controverse tra grandi potenze, salvo poi ritenere di intervenire direttamente quando di mezzo ci sono i propri interessi. Sulla Corea del Nord ad esempio, Pechino ha appoggiato risoluzioni e sanzioni ma ritiene che solo gli Usa, ritirando il Thaad dalla Corea del Sud, possano dare una svolta alla negoziazione e porre fine ai lanci di Kim.
L’Onu è dunque un luogo nel quale dimostrare maturità, più che porsi alla guida di un meccanismo che perfino i più forti fino ad oggi, gli Usa, vedono come attualmente troppo complesso e burocratizzato perché possa consentire a un Paese di essere più rilevante di altri. E la Cina sembra saperlo molto bene e proprio per questo partecipa. Per risolvere davvero i problemi, Pechino ha altri metodi.
@simopieranni
L’Onu, da oggi in Assemblea Generale, secondo Trump non serve a niente. Secondo Pechino, invece, è uno strumento molto utile per mostrare la propria potenza pacifica e dirimere potenziali controverse tra grandi potenze. Prossima prova sarà la questione nord coreana.