
Oslo è una delle città più sostenibili del mondo. Da decenni la capitale norvegese investe nello sviluppo di tecnologie per la produzione di energie rinnovabili e la conversione energetica.
L’obiettivo della municipalità è quello di ridurre progressivamente le emissioni di CO2 e quindi migliorare la qualità dell’ambiente urbano. Per raggiungerlo ha deciso di puntare in modo consistente sugli impianti per il trattamento dei rifiuti e sulla termovalorizzazione.
La spazzatura è spesso per le metropoli un enorme problema da gestire, eppure per la città scandinava è una risorsa fondamentale. Lo è al punto che negli ultimi anni si è aperta una corsa ai rifiuti solidi urbani; gli impianti di incenerimento norvegesi ne hanno acquistato volumi crescenti da altri paesi europei. È qui che risiede il segreto del successo di Oslo: nell’abilità di trasformare un potenziale disagio in un beneficio economico e ambientale.
Il primo inceneritore norvegese fu realizzato nel 1967 a Haraldrud, una zona industriale a sei chilometri dal centro cittadino. Mentre circa vent’anni più tardi, nel 1986, fu costruito l’impianto di Klemetsrud, che è attualmente il più grande della Norvegia. Nel 2010 entrambi vennero ampliati e resi più efficienti attraverso importanti interventi strutturali (a Haraldrud venne installato il più grande sistema ottico per lo smistamento, mentre all’impianto di Klemetsrud fu aggiunto un terzo inceneritore). Questi lavori di rinnovamento, oltre a una sostanziale ottimizzazione dei processi, consentirono un significativo aumento della capacità di smaltimento e conversione, che ha così raggiunto le attuali 410mila tonnellate all’anno.
Le ragioni per cui sono stati effettuati gli interventi sono chiare: più rifiuti vengono smaltiti più energia viene prodotta. E gli effetti degli investimenti sono enormi: 84mila edifici di Oslo – circa la metà di quelli presenti in città – sono oggi riforniti di energia elettrica e teleriscaldamento generati dai rifiuti trattati negli inceneritori. Questo circolo virtuoso ha procurato inoltre un duplice vantaggio ambientale: da una parte ha risolto la questione dello smaltimento (alcuni materiali come la plastica e il vetro vengono invece trattati e riciclati), dall’altra ha permesso un risparmio nell’uso di energie non rinnovabili e di conseguenza una riduzione significativa delle emissioni di CO2.
L’importanza sempre maggiore della termovalorizzazione in Norvegia ha tuttavia innescato una vera e propria “lotta per i rifiuti” con la vicina Svezia. Esiste cioè un mercato in cui gli impianti norvegesi e svedesi si contendono i materiali di scarto industriali (ogni azienda locale può consegnarli alle strutture che offrono un miglior servizio specialmente dal punto di vista logistico) e persino le tonnellate di rifiuti prodotti in altri paesi europei. Ad esempio, nel solo periodo tra l’ottobre 2012 e l’aprile 2013 l’EGE, l’ente comunale che gestisce gli impianti di Haraldrud e Klemetsrud, ha acquistato 60mila tonnellate di spazzatura dall’Inghilterra (gran parte delle quali provenienti dalle città di Bristol e Leeds) ed è continuamente al lavoro per portarne in territorio norvegese grandi quantità dall’estero – quella delle città italiane è spesso scartata per via della scarsa separazione dei materiali.
Questa “lotta per i rifiuti” si può spiegare col fatto che il servizio offerto dall’EGE e dagli enti svedesi equivalenti è tutt’altro che gratuito. In un’intervista rilasciata al Guardian nel giugno 2013, Pål Spillum, capo della sezione Recupero rifiuti dell’Agenzia norvegese del Clima e dell’Inquinamento, ha dichiarato che ben il 50% dei loro introiti è prodotto dalle tasse per prendere in carico i rifiuti, mentre il restante 50% proviene dalla vendita dell’energia creata attraverso l’incenerimento di questi ultimi. Alla base dell’azione della municipalità di Oslo, oltre agli evidenti effetti positivi sull’ambiente, c’è dunque anche un notevole vantaggio di tipo economico.
Grazie alla sua politica energetica, la capitale norvegese sembra quindi sulla buona strada per raggiungere i traguardi ecologici che ha da tempo stabilito. La sfida di ridurre del 50% le emissioni di CO2 entro il 2030 e addirittura dell’80% entro il 2050 pare decisamente abbordabile. Ed è così soprattutto in virtù della forte partecipazione dei cittadini alle strategie urbane di sostenibilità (il 71% dei residenti si dichiara favorevole alle energie rinnovabili) e all’intelligenza impiegata per gestire i rifiuti: ormai una risorsa irrinunciabile per la collettività.