Una modifica alle norme anti-blasfemia scatena la protesta di un partito islamista, che infiamma le grandi città del Paese. L’esercito chiamato a intervenire impone al governo una resa senza condizioni. Segno che la riorganizzazione del potere è in corso, guidata dai militari
Secondo la legge del Pakistan qualunque cittadino intenda candidarsi a una carica istituzionale deve sottoscrivere una formula di giuramento. La formula contiene un passaggio in cui si dichiara che il capo degli ahmadi, movimento religioso islamico nato alla fine del diciannovesimo secolo e diffuso in Pakistan e India, è un «falso profeta»; scomunica che veniva introdotta da un «il sottoscritto solennemente dichiara».
All’inizio del mese di novembre, il ministro della giustizia pachistano Zahid Hamid aveva introdotto una modifica nella formula del giuramento, sostituendo la solennità della dichiarazione con un più blando «il sottoscritto crede che», verosimilmente annacquando la tradizionale avversione che la comunità ahmadi pachistana subisce dalla maggioranza della popolazione e dalle istituzioni. La novità è stata accolta negativamente da Tahreek-e-Labaik, partito politico di ispirazione islamica nato nel 2015 e fino a questo momento largamente sconisciuto nella galassia delle formazioni locali a cavallo tra politica e religione. Il fondatore e presidente, Khadim Hussain Rizvi, denunciando la misura come un arretramento istituzionale circa le norme anti-blasfemia in vigore nel Paese, ha indetto sit-in di protesta, chiedendo le dimissioni immediate di Hamid e il ritorno alla vecchia formula solenne.
In pochi giorni, la protesta di Tahreek-e-Labaik aveva coinvolto tutti i maggiori centri urbani del Paese, con migliaia di sostenitori a bloccare i centri nevralgici delle città pachistane in un confronto sfrontato con le istituzioni locali, mentre la polizia – sotto il ministero degli Interni – cercava di sgomberare i manifestanti senza ricorrere alla violenza che avrebbe scatenato un putiferio di portata nazionale. Dopo giorni di trattative sfociate nel nulla, il governo ha chiesto l’intervento dell’esercito, storicamente il vero centro di potere dello Stato pachistano e profondamente coinvolto nelle trame politiche del Paese, ricevendo in tutta risposta il rifiuto delle forze dell’ordine di intervenire in una questione di «law and order» che, secondo i militari, poteva e doveva essere gestita dallo Stato e dalle forze dell’ordine.
Quando sabato scorso la polizia di Islamabad ha caricato le centinaia di manifestanti impegnate in un sit-in ormai da quasi tre settimane, il putiferio fino ad allora scongiurato è infine esploso: migliaia di sostenitori di Tahreek-e-Labaik hanno preso d’assalto le strade delle città pachistane, bruciando veicoli e rispondendo alle cariche della polizia in scontri che, secondo le prime stime, hanno causato solo a Islamabad oltre 200 feriti e almeno 6 morti. Con la situazione ormai fuori controllo, nella serata di sabato il governo di Islamabad ha ordinato alla polizia di ritirarsi, chiamando nuovamente in causa i vertici dell’esercito.
Al posto di schierare le truppe nelle città, come richiesto dal primo ministro ad interim Shahid Khaqan Abbasi del partito Pakistan Muslim League – Nawaz (Pml-N, il partito dell’ex primo ministro Nawaz Sharif costretto alle dimissioni in seguito allo scandalo dei Panama Papers che ha coinvolto membri della sua famiglia), il generale Qamar Javed Bajwa ha chiesto invece un meeting a porte chiuse con Abbasi, svoltosi nella giornata di domenica.
I contenuti della riunione tra Abbasi e Bawla, pur non essendo noti, sono facilmente deducibili dalla conclusione dello scontro sancita lunedì 27 novembre, quando il leader di Tahreek-e-Labaik e il governo pachistano, col generale maggiore e ufficiale dei servizi segreti pachistani (Isi) Faiz Hameed a fare da «mediatore e garante», hanno raggiunto un accordo che sta già facendo molto discutere.
Secondo i termini dell’accordo, non solo la formula del giuramento tornerà nella sua versione originale, ma il governo ha acconsentito anche alla richiesta di far dimettere immediatamente il ministro della Giustizia autore della modificia – dimissioni già presentate e accettate -, alla scarcerazione immediata di tutti i manifestanti arrestati nelle ultime settimane e al pagamento dei danni materiali registrati nelle città toccate dalle proteste, a carico delle casse dei governi locali.
Si tratta di una resa incondizionata di un governo democraticamente eletto di fronte alle proteste di un’organizzazione settaria, un precedente pericolosissimo per la flebile democrazia pachistana. Secondo gli osservatori, e anche secondo chi scrive, è ovvio che il vero motivo del contendere non fosse una dicitura troppo blanda in una formula di un giuramento formale. Dopo le dimissioni di Nawaz Sharif dello scorso agosto e le nuove elezioni previste per l’anno prossimo, in Pakistan è in atto una tradizionale riorganizzazione del potere dello Stato che non può prescindere dall’appoggio di chi davvero detiene il potere nel Paese: gli apparati militari.
L’iniziale disinteresse dell’esercito nell’intervenire in una situazione potenzialmente incendiaria e il ruolo di mediatore e garante che ha poi svolto nella conclusione del confronto danno bene la misura dei rapporti pessimi che intercorrono tra la maggioranza di governo e l’élite militare pachistana che da tutta questa vicenda ne esce politicamente rafforzata ai danni del Pml-N. Tanto che la stampa locale ipotizza un accordo sotterraneo tra Thareek-e-Labaik e gli apparati militari dello Stato in funzione anti-Pml-N: accusa rimandata al mittente da Rizvi che, in una conferenza stampa tenutasi domenica scorsa, ha giustificato e accolto positivamente l’intervento dell’esercito come frutto di un «interesse personale del generale Bawli nel mantenere la pace e la giustizia nel paese».
Il ministro per i Cambiamenti climatici Mushahid Ullah Khan, intervistato dal Guardian, ha dichiarato: «Si sta giocando un grande gioco. Qualcuno ha manipolato l’intera situazione e prima o poi scopriremo chi c’era davvero dietro a questo grande gioco e di che cosa si trattava realmente».
@majunteo
Una modifica alle norme anti-blasfemia scatena la protesta di un partito islamista, che infiamma le grandi città del Paese. L’esercito chiamato a intervenire impone al governo una resa senza condizioni. Segno che la riorganizzazione del potere è in corso, guidata dai militari