Il leader della Lega, che viaggiava verso il 40% dei consensi, scivola sulla sua presunzione e sul suo provincialismo e, pur con il sussulto umbro, comincia una lenta e inesorabile discesa
Al Papeete Beach, uno stabilimento balneare di Milano Marittima, quest’estate, si è consumato il più tragico dei colpi di sole, sotto una canicola che ha evidentemente proiettato il miraggio di una scorciatoia verso il Governo assoluto del Belpaese. Fino a giugno scorso, infatti, Matteo Salvini era il re indiscusso, guidava l’Italia con il suo 17% (40% nei sondaggi), in un Governo che, dopo l’exploit della Lega alle elezioni europee (34%), era sempre più nelle sue mani.
Poi ha deciso che non era abbastanza, che il gatto (cioè lui) doveva mangiare il topo Giggino (Di Maio), che bisognava dunque porre fine al Governo di Giuseppe Conte e all’alleanza con i 5 Stelle, per andare a elezioni. Nel giro di un paio di settimane, l’ex vice-premier, però, si è ritrovato senza corona, senza elezioni, a sbraitare contro un nuovo Governo, nato sostanzialmente da una sua svista.
I fatti sono noti, ma li ricostruiamo brevemente: ai primi di agosto, Lega e 5 Stelle litigano sulla Tav e, dopo la bocciatura di una mozione dei pentastellati al Senato (in cui la Lega vota con Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia), Matteo Salvini dichiara l’esperienza del Governo conclusa, invocando nuove elezioni.
“Non vogliamo poltrone, rimpasti o Governi tecnici: dopo questo Governo ci sono solo le elezioni.” Passa qualche giorno e un’intervista di Matteo Renzi al Corriere della Sera cambia improvvisamente lo scenario. Renzi, che con i grillini se l’è date per mesi, apre inaspettatamente alla possibilità di un’alleanza di Governo temporanea Pd-M5S, per scongiurare l’aumento dell’Iva, che sarebbe scattata in automatico in caso di mancata approvazione della legge di bilancio.
Quando Salvini mangia la foglia, è troppo tardi. Prova anche una retromarcia goffa, ritirando la sfiducia e aprendo al taglio dei parlamentari (invocato per mesi dai grillini), salvo poi tornare indietro ancora, per ridare la voce al popolo. Complotto! Sono stati i poteri forti (quali sarebbero?), le cancellerie europee, la Merkel in persona.
Quando Giuseppe Conte va in Parlamento a dimettersi, gliene dice di tutti i colori, 50 minuti di una diretta TV seguitissima in cui Salvini si liquefà in smorfie ridicole e il premier uscente, per mesi un signor nessuno, diventa improvvisamente qualcuno, tanto da meritarsi poi la riconferma. In Senato, Conte sembra un gigante e gli slogan di Salvini poco adatti al contesto istituzionale: i toni da spiaggia, l’esibizionismo pseudo-cattolico, i 60 milioni di italiani sbandierati, vanno bene su Facebook ma in Senato sembrano comiche stonate!
La giornata parlamentare sarà ricordata come una delle più drammatiche della nostra storia. Quando finisce un Governo (in Italia accade piuttosto spesso, abbiamo il record in Europa negli ultimi 70 anni), i rapporti personali tra compagni sono spesso deteriorati, ma raramente si è assistito a un confronto così duro tra premier e vicepremier. I due battibeccavano da mesi. A marzo c’era stata la prima litigata in pubblico e lì Conte già si era fatto sentire: “Bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare nei Ministeri tutti i giorni, studiare le cose prima di parlare, altrimenti si fa solo confusione.” Il tema di chi sta a farsi i selfie e chi a lavorare per il Paese sarà il leitmotiv anche dei mesi successivi, fino alla rottura.
Lo scontro Salvini-Conte è durissimo (sia alla Camera, sia al Senato) anche il giorno della fiducia al Conte bis. Per l’ex Ministro dell’Interno sembra ormai un fatto personale: “Un uomo organico al potere, senza dignità”, “Abbiamo scoperto un nuovo Monti”, “L’uomo che sussurrava alla Merkel”. Composta, ma molta aspra anche la risposta di Conte: “È rimasto fermo all’8 agosto, quando, con arroganza e con scarse cognizioni di diritto costituzionale, ha ritenuto di provocare una crisi, ha ritenuto di poter unilateralmente portare a elezioni il Paese (…) e sempre unilateralmente e arbitrariamente di concentrare tutti i pieni poteri su di sé.”
Oggi Matteo Salvini sta provando a recuperare il terreno perduto, ma è come provare a rimettere il dentifricio dentro il tubetto. Senza la ribalta del Viminale cerca nuove strade: il duello in TV con Renzi e la manifestazione del centrodestra unito contro il Palazzo a Roma (adesso gli fa comodo persino Berlusconi, che qualche mese fa era pronto a rottamare). Nel talk show del Cardinal Vespa, i due Mattei confermano in pieno la nostra Prima Pagina dello scorso numero, offrendo numeri da clown stucchevoli e irritanti per i più (laddove fino a pochi mesi fa costituivano macchine di consenso), con la benedizione di un ex autorevole conduttore tv, ormai inginocchiato allo show-biz.
I sondaggi confermano che il Carroccio, pur avendo perso consensi (-8% in poche settimane) dopo la fine del Governo gialloverde, rimane in testa alle preferenze degli italiani: gli esperti di Lega sostengono che Salvini stia provando a rendersi anche più presentabile, smussando in parte i toni barricaderi, alla ricerca di quell’elettorato moderato che ancora non si fida di lui.
In una recente intervista al Foglio, riportata anche da varie testate straniere, ha provato a correggere il tiro su diverse questioni, in primis l’Europa: “Lo dico una volta per tutte, e poi spero che nessuno, dentro e fuori il mio partito, sollevi di nuovo questo tema. La Lega non ha in testa l’uscita dell’Italia dall’euro o dall’Unione europea. Lo dico ancora meglio: l’euro è irreversibile.” Anche il truce Matteo deve aver capito – meglio tardi che mai! – che le battaglie anti-euro non portano voti, se anche Marine le Pen si è affrettata a dichiarare nei mesi scorsi “che adottare una nuova moneta non è più la priorità.”
Il cambio di registro del leader del Carroccio, che fino a poco tempo fa girava con la maglietta BASTA-euro, ha fatto però saltare sulla sedia diversi compagni di partito: “Forse l’intervista non era corretta… di irreversibile non c’è nemmeno la morte”, ha twittato Claudio Borghi, Presidente leghista della Commissione Bilancio della Camera. Salvini, che cerca i moderati ma non può perdere i suoi, nei giorni successivi è tornato per l’ennesima volta sui suoi passi: “Se ci sarà in futuro una ridiscussione delle politiche monetarie in Europa noi ci siamo e ci aggreghiamo.” Come non detto…
Tuttavia, nonostante i toni più pacati, i timidi restyling sono davvero poco credibili.
Nessun pentimento sulla guerra inconcludente ai migranti, sulle leggi illiberali, sulle gite dei suoi in Russia e sulle brutte amicizie in Europa (dall’eterna perdente Le Pen ai neo-nazi di Alternative für Deutschland). Salvini modera i toni (a fatica), ma non cambia ancora strada.
Checché ne pensino i sovranisti, le ricette per politiche efficaci passano tutte per Bruxelles. Salvini ha ammesso la necessità di usare il tempo all’opposizione per studiare, ma dovrebbe cominciare proprio da un riesame dei compagni di strada che si è scelto in Europa, politicamente avversari di qualunque apertura verso gli interessi dei Paesi meridionali dell’Unione. I neo pentastellati, loro compagni di cordata fino a tre mesi fa, hanno fatto più strada, dal momento che stanno provando a sviluppare un dialogo con i Verdi europei, agganciandosi a quel New Green Deal che sembra aver conquistato indistintamente le nuove generazioni.
@GiuScognamiglio
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
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Il leader della Lega, che viaggiava verso il 40% dei consensi, scivola sulla sua presunzione e sul suo provincialismo e, pur con il sussulto umbro, comincia una lenta e inesorabile discesa